Non è ancora chiaro se l’incontro di domani pomeriggio tra il premier Conte e il presidente della Commissione europea Juncker porterà a un accordo per evitare una procedura Ue contro l’Italia per violazione della regola di riduzione del debito. Al momento, infatti, mentre da parte italiana si accredita la tesi che un accordo ci sarà, da parte comunitaria si continua a tenere i piedi in due scarpe: si dialoga, ma intanto si prepara la procedura, il cui lancio è previsto – in mancanza di un’intesa su qualità della manovra e saldi di bilancio – il 19 dicembre. La rivolta dei ‘gilet jaunes’ in Francia e la marcia indietro di Macron su una serie di misure per evitare che si diffonda (e sfugga di mano) la protesta sociale cambia di fatto il contesto europeo nel quale si iscrive la sfida dell’Italia, finora solo contro tutti: nel 2019 la Francia correrà dritto verso il 3,5% di deficit/pil con il rischio di rientrare nella procedura per deficit eccessivo dopo esserne appena uscita. All’insegna del ‘mal comune mezzo gaudio’ a Roma si gioca ancora più convintamente la carta delle necessità di fare argine su scala europea alle proteste sociali. Difficilmente, si dice, la Commissione può essere ‘dura’ verso l’Italia e ‘morbida’ verso la Francia. Tuttavia questa narrazione ha due limiti: il primo è che per l’Italia le decisioni Ue sono da prendere adesso mentre per la Francia se ne parlerà in primavera; il secondo è che anche in tutti gli altri Stati Ue a maggio si vota per le europee e l’indisponibilità ad allentare il rispetto delle regole di bilancio appare, almeno finora, generalizzata.
Nessuno si addentra nelle cifre pubblicamente, ma a quanto risulta lo scoglio di fronte a un accordo tra Bruxelles e Roma è costituito dalla soglia, ormai diventata una barriera psico-politica, di un deficit/pil al 2%. Cioè: sopra anche di poco per il governo, sotto anche di poco per la Commissione europea. Se fosse solo questione di un paio di decimali di punto percentuale (lo 0,1% del pil vale 1,8 miliardi di euro) sarebbe chiedersi perché è così difficile trovare un accordo. Invece la questione non è di qualche decimale di deficit/pil in più o in meno. In gioco c’è una manovra che dovrebbe servire alla crescita dell’economia in modo strutturale; così come la necessità dell’Italia di ridurre la stretta dello spread che incrementa i costi di gestione del debito e i rischi di vulnerabilità.
D’altra parte, le stesse dichiarazioni di oggi del ministro Tria fanno emergere che il tentativo in corso è di “diminuire le divergenze con la Commissione Ue per evitare la procedura” perché ritrovare la fiducia della Ue e dei mercati giustifica la riduzione del deficit. Il problema è però sempre lo stesso: sono d’accordo Di Maio e Salvini e quale sarà la conclusione “politica” sul saldo di bilancio finale? È possibile che già stasera o domattina qualcosa il governo indichi a Bruxelles per preparare l’incontro Conte-Juncker (essendoci anche il ministro Tria dovrebbero partecipare anche Dombrovskis e Moscovici).
È logico che quanto sta avvenendo in Francia modifica il contesto politico europeo e costringa tutti, a partire dalla Commissione, a calibrare bene toni e soprattutto decisioni. Contrariamente all’impatto europeo di uno scontro sui bilanci limitato all’Italia, uno scontro della Commissione anche con la Francia metterebbe in tensione l’intero quadro politico comunitario. E questo per un motivo semplicissimo: come ha notato l’analista del Financial Times Gideon Rachman, il fallimento o l’indebolimento dell’agenda interna di Macron può far fallire o indebolire l’agenda europea di rafforzamento dell’unione monetaria e l’agenda internazionale di ‘governance’ globale. Tuttavia, non è scontato che gli altri azionisti dell’Eurozona, e soprattutto la Germania, siano disponibili a sacrificare il sistema di regole sui bilanci pubblici o sulla stabilità bancaria sull’altare di altre agende il cui destino per il momento appare incerto. Non va dimenticato, per esempio, che l’Eurogruppo ha appena sdoganato una riforma del fondo salva-stati, il ‘paracadute’ finanziario della risoluzione bancaria e l’idea di un ‘mezzo bilancio’ per l’Eurozona che non si occuperà per il momento di stabilizzare le economie colpite da choc economici: un sottoprodotto dell’ipotesi di ‘grande riforma’ preconizzata da Macro, dalla Commissione e a suo tempo dall’Italia (prima del governo Conte).
Il premier italiano ha messo in guardia dal pericolo che le proteste sociali abbiano “esiti imprevedibili” come dimostra il caso francese. In sostanza, si allude in qualche modo al riconoscimento che le proteste sociali possano diventare una specie di ‘fattore rilevante’ da tenere in considerazione nella supervisione di bilancio, quasi che gli effetti sociali e politici della gestione di un Paese fossero al di fuori della capacità di azione di un governo. E non rientrassero a pieno titolo nelle competenze e nella sfera sovrana di uno Stato. Nessun esponente tedesco ha commentato i fatti francesi, ma che la strada per aumentare il deficit sia spianata per la Francia è per il momento tutta da dimostrare. D’altra parte, se l’obiettivo della Cdu è dimezzare i consensi dell’Alternative fuer Deutschland (i sondaggi danno il partito nazionalista ed euroscettico al 16%), è lecito dubitare che da Berlino avranno molto spazio le spinte ad allargare le maglie della flessibilità sui conti pubblici oltremisura.