Monito Ecofin anche all’Italia, attenzione alle vulnerabilità, no marcia indietro su riforme

“In certi Stati permangono vulnerabilità”. Gli squilibri nei debiti privati e pubblici “restano a livelli storicamente alti e la loro correzione non procede velocemente”. “Va evitata la marcia indietro su importanti riforme strutturali”. Sono questi tre elementi di valutazione chiave che compaiono nella bozza di conclusioni della riunione dei ministri Ecofin che si terrà venerdì sulla situazione dei vari Paesi. L’Italia non viene citata ma è anche e soprattutto ad essa che si riferisce. Le conclusioni Ecofin riguardano l’attuazione da parte degli Stati delle raccomandazioni 2018 sulla politica economica e di bilancio. Nelle riunioni dell’Eurogruppo domani e dell’Ecofin dopodomani il caso italiano non sarà discusso: valutazioni ed eventuali decisioni sono rimandate al 5 giugno, quando la Commissione presenterà le sue conclusioni, e otto giorni dopo alla nuova riunione dell’Eurogruppo. L’allerta sull’Italia resta: le recenti dichiarazioni del vicepremier Salvini sulla volontà (della Lega) di non rispettare le regole Ue hanno ridestato l’allarme sulla tenuta dei conti pubblici e sugli indirizzi del governo Conte.

Nel documento Ecofin viene indicato che “gli alti livelli di debito riducono lo spazio per assorbire future choc economici negativi”. I ministri si dichiarano “’accordo con la visione della Commissione europea che in tre Stati membri e cioè Cipro, Grecia e Italia, esistono squilibri eccessivi” e ribadiscono che la procedura per squilibri macroeconomici “deve essere usata appieno e in modo trasparente e coerente” attivandola se appropriato. Lo squilibrio più grave di cui soffre l’Italia è il debito pubblico in rapporto al pil. “Se la Commissione ritiene che uno Stato membro presenta squilibri macroeconomici eccessivi ma non propone di aprire una procedura – è scritto nel documento Ecofin -, deve spiegarne chiaramente e pubblicamente le ragioni”. Inoltre, l’Ecofin indica che “le politiche di bilancio devono rispettare pienamente il patto di stabilità… tenendo conto delle necessità di stabilizzazione e delle preoccupazioni sulla sostenibilità”.

La questione degli squilibri macroeconomici non riguarda solo l’Italia, ma quelli italiani, così come quelli greci e ciprioti, sono considerati “eccessivi”, cioè più gravi di quelli che esistono in altri Paesi. In altri Stati, e cioè Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Olanda, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia, ci sono squilibri di varia natura e livello di gravità.

Finora la procedura per squilibrio macroeconomico, che implica un certo grado di condizionamento della politica economica e di bilancio di un governo, non è mai stata aperta contro nessuno Stato ed è assai improbabile venga aperta prossimamente. La questione degli squilibri riguarda anche la Germania in riferimento all’enorme surplus di parte corrente accumulato nel tempo e non ‘speso’ a sostegno della crescita interna, che costituisce uno dei fattori di freno dell’economia Eurozona.

Nel documento Ecofin si nota che ci sono Stati (come la Germania appunto) “che evidenziano ampi surplus di parte corrente che persistono con segni di riduzione solo modesti”. Tali Stati “devono rafforzare le condizioni per promuovere l’aumento dei salari, rispettando il ruolo dei partner sociali, e continuare ad attuare misure per incoraggiare gli investimenti, sostenere la domanda interna e la crescita potenziale”. Cioè assumersi l’onere di stimolare la crescita continentale.

Le valutazioni dell’Ecofin, che non includono il giudizio specifico sulle politiche future dei governi, si intrecciano alle valutazioni sulle politiche di bilancio e di riforma economica degli Stati membri che la Commissione europea dovrà rendere note il 5 giugno. Non è chiaro se sul caso dell’Italia Bruxelles presenterà richieste puntuali di correzioni di bilancio o addirittura la proposta di aprire una procedura per non aver ridotto il debito l’anno scorso. La sola cosa certa è che attualmente sta preparando un nuovo rapporto sul debito data la violazione della regola che ne impone la riduzione.

Le conclusioni sul debito italiano sono ancora tutte da scrivere. Le ultime stime macroeconomiche Ue hanno messo in luce la distanza dei conti italiani dalla tabella di marcia secondo le regole europee. La questione più spinosa riguarda il 2018 e il mancato taglio del debito/pil, in continua ascesa dal 131,4% nel 2017al 132,2% nel 2018, al 133,7% nel 2019 al 135,2% nel 2020 a politiche invariate. La violazione della regola di riduzione del debito l’anno è scorso è evidente, ma non è evidente la valutazione dei motivi per cui si è verificata. Per questo, prima di arrivare alle conclusioni, la Commissione europea deve conoscere le ‘giustificazioni’ del Tesoro in relazione ai cosiddetti ‘fattori rilevanti’ che hanno pesato. Fattori come bassa crescita (comunque a quota 0,9% nel 2018) e bassa inflazione (1,2%) che possono portare alla conclusione che se “a prima vista” è stata violate la regola sul debito, date le condizioni specifiche dell’economia l’Italia potrebbe essere considerata complessivamente in linea con il patto di stabilità.

Non è ancora partita la lettera della Commissione europea con la richiesta al Tesoro di delucidazioni sulla posizione italiana circa i ‘fattori rilevanti’. In teoria, su una procedura per debito eccessivo il Consiglio Ue deve decidere entro il primo agosto. Fino a un paio di settimane fa, la data utile per avviare il processo era stata identificata nel 5 giugno, quando la Commissione presenterà il ‘pacchetto’ del ‘semestre’ di ‘governance’ economica, con i rapporti-Paese sulle riforme economiche nazionali e le strategie di bilancio. La richiesta all’Italia di fornire argomentazioni a sostegno delle sue scelte è obbligatoria e in teoria il Tesoro ha un mese di tempo per rispondere. Dal punto di vista della procedura (così come è scritta) siamo già fuori tempo.

Due le difficoltà della Commissione: da un lato è di fatto una ‘lame duck’, un’anatra zoppa perchè a fine mandato. La decisione su una procedura per debito, procedura mai aperta finora contro alcun Paese, è una scelta politica di assoluto rilievo che una Commissione a fine mandato può prendere solo in teoria. Dall’altro lato, bassa crescita e bassa inflazione sono elementi non secondari (ma non sono i soli) di cui Bruxelles dovrà tenere conto. Fondamentale poi è la valutazione della politica di bilancio quest’anno e nel prossimo anno.

L’Italia non ha assicurato una correzione sufficiente del deficit in termini strutturali (al netto di misure una tantum ed effetti del ciclo economico) nel 2018. Nel 2019 il deficit strutturale peggiorerà. Nel 2020 pure (sempre a politiche invariate). Il peso della manovra finanziaria per l’anno prossimo è notevole: gli aumenti dell’Iva da sostituire più il miglioramento strutturale dei conti pari allo 0,6% del pil. In tutto ben oltre 30 miliardi di euro.

Questo scenario rende probabile un rinvio delle vere decisioni Ue all’autunno, tuttavia non è da sottovalutare la crescente tensione politica che il caso Italia crea in molte capitali (praticamente tutte). Non nel senso che c’è la fila a fare sconti all’Italia come vuole la narrazione implicita da parte governativa, ma nel senso opposto. Quanto all’incidenza dei risultati del voto, per cambiare le regole Ue occorre modificare un Trattato all’unanimità, operazione che richiede mesi e mesi di negoziati. Quand’anche i governi vogliano farlo: per ora si tratta di un’idea campata per aria e alimentata solo in Italia dalla Lega. In ogni caso, il Parlamento europeo non ha poteri sulle procedure per violazione del patto di stabilità.