C’è rischio contagio degli effetti negativi di una linea italiana sui conti pubblici in contrapposizione alle regole di bilancio Ue nei Paesi dell’area monetaria. Ecco il nuovo messaggio della Commissione europea espresso dal vicepresidente Katainen. Il quale, però, ecco un elemento sul quale riflettere, indica nello stesso tempo che non siamo alle battute finali della partita e che è sbagliato evocare scenari nerofumo come se si fosse già all’epilogo. Al netto di quanto potrebbe accadere sui mercati se ci fosse un ‘downgrading’ del rating da parte di Standard & Poor’s il 26 ottobre e a fine mese da parte di Moody’s, Bruxelles sembra stia preparando il terreno per contestualizzare e dare una lettura non allarmata né allarmistica dell’assai probabile bocciatura del progetto di bilancio 2019 con la richiesta di una correzione. Sia Katainen che il commissario agli affari economici Moscovici, titolare della sorveglianza sui bilanci pubblici, indicano che la strada è quella di una “cooperazione” con l’Italia. Ma entrambi sottolineano che la ‘palla’ ora è tutta nel campo dell’Italia: non è tardi per tornare indietro rispetto al Def recuperando credibilità.
Che i vertici comunitari abbiano abbassato i toni è evidente da giorni. Detto questo, è evidente che la preoccupazione per la piega degli avvenimenti attorno alle scelte di bilancio italiane resta molto elevata. E che la valutazione della posta in gioco (la saldezza dell’unione monetaria) quanto dei pericoli possibili di un’Italia che entra in collisione non solo con le regole del patto di stabilità ma anche con le attese degli investitori (soprattutto italiani dato che circa due terzi del debito sovrano nazionale è in mani nazionali) è sempre ampiamente condivisa dalle capitali dell’Eurozona. Non solo a Berlino o a Helsinki, ma anche nel Sud (da Madrid a Lisbona ad Atene. Come è noto, all’ultima riunione dell’Eurogruppo solo una decina di giorni fa a Lussemburgo, l’Italia si è ritrovata in totale isolamento politico. E finora vi è rimasta.
Non è stato parco di giudizi negativi il vicepresidente Katainen, visto che ha ribadito come il governo italiano debba “assumersi le proprie responsabilità” non vivendo nel vuoto pneumatico ma condividendo la moneta con altri 18 Stati. E ricordato che il progetto di bilancio sarà valutato “sulla base degli impegni assunti in precedenza”. Ora, tali impegni sono stati archiviati con la nota aggiuntiva al documento di economia e finanza che prevede un deficit/pil nominale in aumento al 2,4% nel 2019 e in leggero calo nei due anni successivi, rinvia non si sa a quando l’obiettivo del pareggio, non migliora il deficit strutturale, che anzi peggiora. Si poggia, infine, su stime di crescita per ora unanimemente considerate fuori misura. Siamo dunque nell’anticamera della bocciatura.
La richiesta di correggere la ‘finanziaria’, qualora fosse effettivamente decisa, sarebbe una mossa mai compiuta finora dalla Commissione. Una mossa che rischia di aggiungersi alla valutazione negativa di S&P e Moody’s. Le due agenzie di rating potrebbero far scivolare di uno scalino la valutazione di credito dell’Italia, avvicinandola pericolosamente alla soglia oltre la quale la Bce non può acquistare titoli sovrani italiani. Ecco il motivo dei messaggi comunitari, certo non concilianti, però all’insegna della massima apertura alla collaborazione, al “pragmatismo” oggi evocato da Katainen. Non è secondario indicare che i giochi (tutti al negativo dal punto di vista della Commissione) non sono da considerare fatti, chiusi.
È dunque in corso una specie di ‘moral suasion’ multilaterale: da parte di Bruxelles, da parte della Bce, da parte delle istituzioni internazionali (Fondo monetario). Oltrechè interna in Italia (presidente della Repubblica, Banca centrale). Anche oltre Atlantico seguono il caso italiano: non dovrebbero essere passate inosservate le parole del segretario al Tesoro Usa Mnuchin che al Financial Times ha detto “Abbiamo un desiderio significativo di essere aggiornati ed essere certi che non ci siano effetti contagio, a prescindere che [a innescarli] sia l’Italia o la Brexit, nessuna di queste questioni al momento rappresenta una preoccupazione notevole”. Che la preoccupazione non sia notevole non vuole dire, ovviamente, che non ci sia. Essere accomunati alla Brexit non è un gran successo.
Date le premesse e la continua reiterazione da parte del governo italiano (per bocca di Conte, Salvini e Di Maio) che non ci sarà alcun arretramento rispetto agli obiettivi di deficit, l’unica via praticabile è aspettare cosa accadrà fra breve sul fronte mercati (spread e Borsa con particolare riferimento agli effetti sui titoli bancari) dopo i nuovi giudizi di S&P e Moody’s. E, se le due agenzie di rating dovessero temporeggiare, aspettare l’evoluzione del confronto parlamentare sulla legge di bilancio. Dato che si voterà a fine dicembre, c’è tempo per riparare, eventualmente. Solo che la Commissione deve decidere entro fine ottobre se chiedere al governo di correggere il progetto di legge di bilancio oppure no: al punto in cui ci si è spinti, appare difficile che ciò non avvenga, a meno che un effetto duro sui mercati di giudizi negativi di S&P e Moody’s non costringa il governo a tornare frettolosamente sui propri passi. Ecco che le parole di Katainen e Moscovici possono essere utili a richiamare, da un lato, i rischi che si stanno correndo e, dall’altro lato, avvertire che anche in caso di ‘bocciatura’ della legge di bilancio la partita resta aperta: il governo può decidere di accogliere in parte i rilievi Ue oppure ‘rifugiarsi’ nel processo parlamentare per trovare soluzioni definitive nei prossimi due mesi. Se la partita resta aperta, la richiesta di correzione delle scelte del governo può non essere considerata la fine del mondo. Neppure per i mercati.