Brexit sì-no? Potrebbe essere solo un assaggio. Sgradevole, rischioso, amaro. Il ‘think tank’ European Council on Foreign Relations ha fatto i conti e mettendo in fila le richieste, le minacce o le intenzioni di promuovere referendum nei vari paesi da un fronte di partiti che va dall’estrema sinistra all’estrema destra nazionalista su specifici temi europei, compreso la distribuzione per quote dei rifugiati, è arrivato al numero di 32. Beninteso, per ora si tratta solo di un rischio, di minacce, appunto, però è una lista da tenere d’occhio. “Il voto britannico sulla partecipazione all’Unione europea potrebbe essere solo un segno iniziale di uno tsunami politico per iniziativa di partiti anti-establishment che usano il referendum come arma per sfidare le élites politiche tradizionali”, commentano i ricercato dell’European Council on Foreign Relations.
Il lavoro del ‘think tank’ europeo è la prima rassegna delle iniziative di 45 partiti o movimenti appena nati accomunati da posizioni comuni: sono profondamente scettici sulla Ue, chi per convinzione ideologica chi perché ritiene sbagliare le politiche perseguite, sono contrari a interventi esterni particolarmente nel Medio Oriente, non amano l’asse privilegiato con gli Stati Uniti, molti hanno un’inclinazione positiva verso Putin. L’European Council on Foreign Relations ha effettuato una serie di interviste in tutti i 28 Stati membri a rappresentanti di partiti che vanno da Die Linke (Germania) ad Alba Dorata (Grecia) alla Lega Nord a Jobbik (Ungheria), partiti che hanno almeno un seggio al parlamento europeo.
Il contesto per un’analisi del genere è dei migliori e non a caso l’Ecfr segnala tre elementi: il referendum britannico dopo anni di campagna dell’Uk Independence Party (Ukip) di Nagel Farage; le elezioni politiche in Spagna fra tre giorni, dopo il fallimento del responso delle ultime che si sono svolte a dicembre, con la coalizione guidata da Podemos che risulta in grado di superare il partito socialista; la vittoria elettorale alle municipali italiane del Movimento 5 Stelle.
Dal sondaggio presso i vari partiti, partitini e movimenti emerge che si stanno impegnando per un “voto nazionale” sulla partecipazione alla Ue il Front National e il partito comunista in Francia; il partito comunista di Boemia e Moravia, il partito dei cittadini liberi e la coalizione Alba Nazionale nella Repubblica Ceca, i Democratici svedesi (nazionalisti conservatori); il partito del popolo danese, Vlaams Belang (Belgio); Ataka (Bulgaria); Alternative fuer Deutschland (Germania); Jobbik (Ungheria); Lega Nord (Italia); partito conservatore del popolo estone; partito per la libertà (è il partito guidato dall’olandese Geert Wilders).
Il fiammingo Vlaams Belang e il tedesco Afd vogliono intervenire contro l’accordo di associazione Ue-Ucraina (sulle orme del rifiuto olandese del trattato tra Ue e Ucraina a maggio). L’Unione Nazionale Attacco (Ataka) e il Fronte patriottico sono pronti a osteggiare l’ingresso nella Ue (ma questo non è un problema perché l’opposizione a questa eventualità è generalizzata nella Ue) e il primo lavora per un referendum contro la Nato.
Sotto tiro le politiche sui rifugiati (peraltro in buona parte non attuate) in Estonia, Germania, Belgio, Estonia, Ungheria, Polonia. Alternative fuer Deutschland vuole uscire dall’Eurozona a meno che non sia attuato rigorosamente il patto di stabilità (il sondaggio non cita la promozione del referendum consultivo sull’euro da parte del M5S). Il partito dell’unità del popolo estone e il Blocco di sinistra del Portogallo chiamano in causa l’esposizione della zona euro alla Grecia. Annunciate promozioni di referendum sui futuri allargamenti della Ue in Germania (Afd) e Austria (Fpo), sui futuri trasferimenti di sovranità al ‘centro’ (Portogallo, Svezia, Estonia, Austria, Slovenia). A questi si aggiungono temi nazionali come l’indipendenza regionale (Spagna, Romania, Croazia).
Molte di queste iniziative sono minoritarie, probabilmente non decolleranno mai, ma occorre essere molto prudenti. Brexit potrebbe aggiungere la linfa necessaria a nutrirli. Ma anche il ‘Remain’ potrebbe avere un effetto del genere, anche se più debole. Secondo il ‘think tank’ europeo “la crescente pressione per i referendum può azzoppare gli organismi di decisione politica nella Ue” basti pensare al rinnovo delle sanzioni contro la Russia, all’accordo di cooperazione con l’Ucraina. Ciò significa una cosa precisa: “La politica estera non è più un gioco limitato alle sole élite”. Secondo Mark Leonard, direttore dell’Ecfr, le forze che alimentano tali campagne “possono anche non raggiungere il potere, ma sono politicamente potenti dato che forzano i partiti tradizionali ad adottare le loro posizioni”.
32 partiti sui 45 sondati si oppongono all’accordo Ue-Turchia sui rifugiati e sono contrari a interventi in Siria. 23 sono contro la cooperazione con Ankara sulla guerra in Siria e 24 sul contrasto del terrorismo. 26 sono contrari a concludere l’accordo commerciale con gli Stati Uniti.
A dimostrazione del caos delle posizioni, la maggioranza ritiene che occorrono soluzioni europee in “situazioni specifiche”, però solo 20 su 45 indicano come necessaria una soluzione Eurozona per la crisi del debito sovrano, 24 una soluzione europea per la crisi dei rifugiati, 29 per la guerra in Siria, 34 per il contrasto del terrorismo.