Sarà una prova di disgelo il confronto che domani a Roma avrà il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker con il premier Matteo Renzi. Anzi: è molto probabile che ci sarà qualche traccia di disgelo in parte avvenuto. Dopo le aspre polemiche delle settimane scorse, sulla scia della decisione italiana di aumentare progressivamente il grado di assertività nelle relazioni con la Commissione nel contesto di una critica radicale al profilo complessivo delle politiche europee, è il momento della discussione distesa, anche se franca, tra i due leader. L’intenzione di Juncker è ricondurre il confronto politico con l’Italia in una dimensione di ‘normalità’, che allontani qualsiasi propensione al conflitto permanente. E che resti lontano da qualsiasi esigenza o interferenza politica interna italiana. Da parte italiana viene dichiarata l’importanza di assumere decisioni rapide in vari campi, dall’immigrazione alle politiche di bilancio all’insegna della flessibilità in mancanza delle quali la Ue, così come è ora, rischia di accelerare il proprio declino politico e istituzionale. Le critiche all’eurocrazia avrebbero questo fine.
Intanto, Juncker ha dato un segnale importante: domani saranno pubblicate le analisi degli squilibri macroeconomici eccessivi paese per paese. L’Italia ne soffre in modo particolare, basti pensare al debito pubblico. Tanto per evitare nuove polemiche, la decisione su ‘che fare dopo’, su quali terapie i paesi dovranno seguire, in quale forma la Commissione comunicherà le proprie valutazioni è stata rinviata all’8 marzo. In passato analisi, valutazione e decisioni sono state comunicate nello stesso momento.
Oltre a Renzi Juncker vedrà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, i presidente delle Camere Laura Boldrini e Pietro Grasso e l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La massima attenzione sarà concentrata, però, sull’incontro con il premier.
Non ci sono indicazioni ufficiali da parte della Commissione europea. Il portavoce si è limitato a osservare che il leader lussemburghese è il decano nel gruppo dei leader europei attualmente al potere e che per 35 anni di vita politica il suo obiettivo è sempre stato quello di « procedere alla ricerca del consenso ». Oggi che ricopre un ruolo che solo gli ingenui possono considerare di « rottura » è mosso dallo stesso spirito. Anche nei confronti dell’Italia.
Il suo viaggio a Roma è stato deciso alcune settimane fa, nei giorni bollenti delle critiche ripetute e sempre più forti alla Commissione da parte di Renzi. Da allora non ci sono state novità concrete nelle scelte comunitarie su nessuno dei temi sollevati dall’Italia. Nè sono cambiati sostanzialmente i toni e i bersagli del premier sulle politiche e sulle istituzioni europee. La sensazione – non solo a Bruxelles – è che, però, negli ultimi tempi il confronto specifico, « costruttivo » è il termine usato da fonti comunitarie, sui temi aperti, soprattutto immigrazione e politiche di bilancio/flessibilità, abbia guadagnato più peso.
Non presentarsi a Roma con i titoli dei media sui rischi derivanti dall’alto debito o dalla debole posizione competitiva dell’economia italiana (questo risulterà dall’analisi sugli squilibri macro-economici che sarà presentata domani a Bruxelles) e magari con la richiesta di un’azione particolare per ridurli, per Juncker è stato un gesto calcolato. D’altra parte, ciò conferma una cosa : Juncker intende procedere con molta prudenza sui conti pubblici e sulle procedure di sorveglianza delle politiche economiche e strutturali. Sull’Italia come su altri paesi sotto tiro, a cominciare dalla Francia. Intende concedere il massimo di flessibilità possibile all’Italia purché si resti nella misura prevista dalla Commissione (il limite massimo ammissibile è 0,75% e non 0,8% del pil) e le informazioni su riforme e investimenti siano complete e verificate. E’ un fatto che Bruxelles ha rinviato a maggio il giudizio definitivo sulla legge di stabilità, dando così cinque-sei mesi di tempo al governo italiano di evitare il rischio che il bilancio violi la regola della riduzione del debito/pil. La discussione a livello tecnico è su pochi decimali di pil di interventi strutturali. E’ una strada in salita, ma praticabile.
Questo procedere da parte di Juncker è possibile proprio per la forte caratterizzazione politica della sua Commissione, che non a caso viene contestata più o meno apertamente dalla Germania. In questo senso, Juncker e Renzi, in un mondo ideale, sarebbero stretti alleati. Probabilmente oggi il rischio più forte che corre Juncker non è il susseguirsi di bordate da Roma, quanto il tentativo tedesco più o meno scoperto di limitare i margini della discrezionalità politica della Commissione, innanzitutto in relazione alla flessibilità sui bilanci pubblici.
Sull’immigrazione è evidente che i problemi non siano a Palazzo Berlaymont, dove ha sede la Commissione europea, bensì risiedano nelle profonde divisioni tra i governi. Tanto per citare un caso, quello del ricollocamento dei rifugiati, che di fatto non ha mai visto la luce. Sulla gestione delle crisi dei migranti le posizioni italiane e comunitarie sono vicine. Oggi il ministro dell’interno Alfano ha riconosciuto chiaramente che la posizione italiana « coincide esattamente con quella della Commissione Europea: realizzare quanto è stato deciso: chi ha da fare gli `hotspot´, e tra questi ci siamo noi, li faccia; chi deve prendersi i migranti con il ricollocamento, lo faccia ».
Certo, c’è la questione delle banche sempre in piedi. Lo scontro Roma-Bruxelles è stato detonante, ma dopo qualche settimana il tema appare ricondotto in una dimensione « normale », visto oltretutto che non c’è alcuna possibilità di anticipare la verifica delle regole del ‘bail-in’ rispetto alla data prevista dalla legge europea del 2018. Ancora ieri la responsabile della concorrenza Vestager ha ribadito che la Commissione non ritiene si debba procedere a una revisione del ‘bail-in’ e che semmai nel caso italiano c’è stato un problema di vendite fraudolente di obbligazioni bancarie subordinate. Dunque, chiusura totale, per ora, alle sollecitazioni italiane. Ma è anche un fatto che tali sollecitazioni sono rimaste isolate nel contesto europeo : Juncker non può non tenerne conto. Ma è pur sempre vero che il presidente della Commissione è il più convinto e forte sostenitore del sistema unico di garanzia dei depositi bancari. Juncker lo ha proposto contro le intenzioni tedesche. L’Italia la pensa esattamente come lui. La partita adesso è nelle mani dei governi (quindi anche in mani italiane) e si sa : la Commissione propone, il Consiglio dispone (spesso passando al vaglio del Parlamento).
Sul capitolo aiuti di Stato alle banche, però, l’Antitrust europeo è ‘sovrano’ : e questo resta un punto molto sensibile sul quale i punti di vista tra Roma e Bruxelles restano a una distanza stellare.