L’appuntamento è per giovedì prossimo quando la Commissione europea pubblicherà le nuove stime macro-economiche per la zona euro, l’Unione europea e gli Stati. Nel rapporto di previsione è attesa la conferma che la ripresa adesso ha una diffusione più ampia tra le diverse aree del continente grazie alla buona tenuta della domanda interna, al cambio dell’euro e al prezzo del petrolio basso. Tuttavia persistono rischi al ribasso delle prospettive di crescita a causa del rallentamento economico nei paesi emergenti, Cina in testa, e sugli effetti nei mercati finanziari e delle materie prime. Anche se a ottobre il tasso di inflazione è risalito a quota 0%, per il 2016 resterà ancora molto lontano dal livello del 2% sul quale è centrata la politica monetaria. A Bruxelles, in ogni caso, continuano a escludere che ci sia un rischio di deflazione. Per gli economisti della Commissione la ripresa nella zona euro è debole sia in relazione agli standard storici sia in relazione al ritmo dell’attività dopo la crisi nelle altre economie avanzate.
Le ultime stime macro-economiche pubbliche disponibili sono quelle del Fondo monetario internazionale, dalle quali quelle comunitarie di solito non si discostano molto. Il vantaggio della Commissione europea è che le sue stime economiche sono più fresche, essendo pubblicate una trentina di giorni dopo quelle del Fmi. Secondo le previsioni del Fondo monetario il pil della zona euro dovrebbe crescere nel 2016 dell’1,6% dopo 1,5% quest’anno con un tasso di inflazione all’1% addirittura più basso dell’1,2% del 2015. Per i tre maggiori paesi dell’area euro la situazione è questa: Italia pil +1,3% dopo +0,8% quest’anno, Francia +1,5% dopo +1,2%, Germania +1,6% dopo +1,5%, Spagna +2,5% dopo +3,1%. Da queste stime non emerge che l’Italia va meglio di altri grandi paesi equiparabili, ma certamente risulta aver ridotto le distanze. L’anno scorso, per esempio, in Italia il pil è stato negativo a quota -0,4%, in Francia era a +0,2%, in Germania +1,6%, Eurozona +0,9%.
La valutazione della Commissione sullo stato dell’economia della zona euro è giunta da tempo a un punto fermo: sette anni dopo l’inizio della crisi finanziaria globale, la ripresa è sempre “sotto tono e fragile”, termini appaiono sempre in tutte le analisi comunitarie. Queste sono apparse come una costante “nonostante” il miglioramento delle condizioni teoriche per crescere dal 2014 sia per quanto concerne la politica monetaria sia per quanto concerne le politiche di bilancio, oggi perlopiù giudicate neutrali (tanto neutrali che alcuni governi, come quello italiano, spingono per spostarle verso l’attivismo espansivo).
Tale debolezza, questo il ragionamento comunitario, è il vero ostacolo che rende difficile prendere il testimone dell’attività globale nel momento in cui rallentano le economie emergenti.
La ripresa nell’area euro dalle maggiori recessioni sperimentate (1983, 1993, 2009) è sempre stata più lenta e stentata rispetto a quella americana. Ma a causa della crisi bancaria che ha nutrito la crisi del debito sovrano, lo stimolo di bilancio negli Usa e in altri paesi avanzati colpiti dalla crisi bancaria è stato simile solo negli anni 2008-2009, successivamente nella zona euro il consolidamento delle finanze pubbliche è stato forte, più rapido, diffuso ed è durato di più.
Nell’ultimo rapporto trimestrale sulla zona euro, gli economisti della Commissione europea ricordano che all’epoca non c’erano molte alternative: la restrizione dei bilanci pubblici venne anticipata e rafforzata rispetto agli altri paesi avanzati colpiti dalla crisi bancaria “a causa delle serie preoccupazioni sulla sostenibilità del debito e alla perdita dell’accesso ai mercati a parte di alcuni Stati membri”. L’impegno a un forte consolidamento dei bilanci “fu cruciale in un contesto di forti tensioni” ma ha originato “anche periodi di politica di bilancio pro-ciclica (peggiorava il contesto economico – ndr) dato che i settori pubblico e privato riducevano l’indebitamento mentre la crescita era molto debole”.
Che la zona euro sia uscita dall’avvitamento non è chiaro e neppure scontato. Nel rapporto trimestrale sulla zona euro la Commissione indica che l’economia potrebbe essere bloccata “in un circolo vizioso in cui la riduzione dell’indebitamento porta alla debolezza persistente degli investimenti e alla bassa crescita e ciò a sua volta limita i progressi nella riduzione del debito e ostacola gli investimenti”. E’ la trappola del ‘deleveraging’: necessario (basti pensare ai bilanci delle banche) ma paralizzante per l’attività economica.
Sarà interessante vedere nel rapporto sulle stime macro-economiche di giovedì la tabella dei rischi di peggioramento e di miglioramento della situazione economica e finanziaria, una specie di bussola di orientamento per le prossime scelte di ‘policy’ europea. E qui si arriva all’uso pratico delle previsioni comunitarie, che costituiscono la base di riferimento dei giudizi europei sulle leggi di stabilità 2016.
La prima verifica delle ‘finanziarie’ è sulle cifre, la seconda è qualitativa ed entra nel merito della credibilità delle manovre governative. Le opinioni comunitarie sulle leggi di bilancio arriveranno attorno alla metà di novembre, i ministri finanziari ne discuteranno il 23 a Bruxelles nel corso di una riunione straordinaria già annunciata.
La questione più ‘calda’ è quale margine sarà concesso a diversi paesi, innanzitutto Italia e Francia, per attuare una manovra espansiva riuscendo nello stesso tempo a non violare le regole sui vincoli di bilancio, a cominciare (per l’Italia) dalla regola del debito e dalla credibilità delle varie coperture di spesa e delle entrate da lotta contro l’evasione fiscale.
Se le stime macro-economiche sono la base per ‘fare le pulci’ alle leggi di bilancio del governi, fonti comunitarie spiegano che in ogni caso l’esercizio delle previsioni è tecnico, il giudizio sulle ‘finanziarie’ appartiene a un’altra dimensione che è insieme tecnica e politica (nel senso che nelle ‘finanziarie’ si riflettono le ‘policy’ di uno Stato). Il fatto che Bruxelles non abbia chiesto a nessun paese di correggere in via d’urgenza una ‘finanziaria’ indica quantomeno che non ci sono le condizioni per un allarme.