La decisione prudentissima della Commissione europea di procedere caso per caso nella valutazione della spesa degli Stati per i rifugiati dimostra che si è riaperta la battaglia sulle interpretazioni flessibili del patto di stabilità, alla vigilia del confronto politico a livello europeo sui progetti di bilancio 2016. Il fatto che ciò avvenga in un contesto in cui aumentano le incertezze sull’andamento della crescita economica (a causa dei mercati asiatici, del rallentamento del commercio internazionale e infine per lo scandalo Volkswagen) complica notevolmente le cose. E’ una situazione che riguarda molti paesi e direttamente anche l’Italia, che ha aggiunto alla richiesta di flessibilità sui conti pubblici per le riforme strutturali in corso di attuazione e gli investimenti anche quella relativa alle spese per l’emergenza migranti, calcolata per l’anno prossimo in 0,2 punti percentuali di prodotto annuo (poco più di 3 miliardi di euro).
Di fatto la Commissione Juncker ha rinunciato a definire in via di principio che il fenomeno dei migranti che si espandono in alcuni paesi chiave dell’Unione europea costituisce una “situazione eccezionale”, tale da rendere possibile il ricorso ai margini di manovra che le tanto criticate regole europee sui bilanci pubblici pure permettono.
Il regolamento 1466 sulla sorveglianza dei bilanci indica chiaramente che, se si materializza un evento inconsueto al di fuori del controllo del governo, evento che ha rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale, è possibile autorizzare lo Stato in questione “ad allontanarsi temporaneamente dal percorso di aggiustamento all’obiettivo di bilancio a medio termine”. A patto, naturalmente, di non rendere insostenibile l’indebitamento a medio termine.
Rinunciare a dire esplicitamene fin da ora che la gestione dei flussi dei migranti è un fatto eccezionale tale da giustificare (quasi automaticamente) il ricorso alla flessibilità sui bilanci pubblici, è una sconfitta politica per chi si è speso per una chiara svolta a favore della flessibilità delle regole di bilancio.
Certamente non bisogna esagerare: analizzare caso per caso la richiesta di un paese per ‘scontare’ la spesa per l’emergenza migranti dai calcoli del patto di stabilità non significa negarla in via anticipata. Anzi, la vicenda dell’applicazione concreta del bistrattatissimo patto di stabilità mostra che di flessibilità la Commissione ne ha garantita parecchia in questi anni (certamente nel quadro della legislazione e della regolamentane esistente di cui sono responsabili in definitiva governi e parlamento europeo).
Ciò che non si vuole dare è un segnale politico. Inviarlo significherebbe indicare una direzione precisa che potrebbe in linea teorica portare fino al riconoscimento della validità della ‘golden rule’, in base alla quale certe spese di investimento sarebbero addirittura escluse dal calcolo del deficit ai fini della vigilanza europea. Al di là dell’emergenza (che chiaramente non è cercata né voluta dai governi e quindi di per sé è un fattore eccezionale al di fuori della loro sfera di controllo), non aiuta ad aumentare il potenziale di crescita la formazione di nuovi cittadini o l’inserimento di persone professionalizzate in società che stanno invecchiando? E l’aumento del potenziale di crescita non fa bene anche ai conti pubblici?
Il commissario francese Pierre Moscovici, che è responsabile diretto delle politiche di bilancio europee, si è schierato chiaramente a favore delle argomentazioni più ‘flessibiliste’. Nell’ultima riunione di mercoledì scorso a Bruxelles, Moscovici ha spiegato ai colleghi che occorre focalizzarsi sull’idea “che i migranti possono essere considerati anche una risorsa per un contenente la cui popolazione invecchia”.
L’impatto sui bilanci pubblici, secondo la Commissione, varia sostanzialmente da uno Stato all’altro. Si va da un minimo di 0,1% del pil allo 0,6%. Ma si tratta di stime che devono essere raffinate e su questo sono impegnati gli economisti della Dg affari economici.
Una stima preliminare di Moscovici è che l’impatto sui bilanci pubblici a breve termine sarebbe di 4 mila-17mila euro per migrante. “A livello macro-economico – ha detto Moscovici agli altri commissari – ci sarebbe un impatto favorevole a medio termine se i rifugiati fossero ben integrati nel mercato del lavoro”.
Tuttavia non va sottaciuto che se per i lavoratori la cui professionalità è complementare rispetto a quella dei migranti potrebbero esserci degli effetti positivi, potrebbe accadere l’esatto opposto per i lavoratori che hanno lo stesso profilo professionale dei migranti. In ogni caso, non pensare a tutto questo adesso secondo Moscovici sarebbe stupido e dal punto di vista economico suicida, basti pensare che “in media occorrono 15 anni affinchè i rifugiati raggiungano un tasso di occupazione del 70”.
Il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis rappresenta l’altra ‘campana’: è favorevolissimo all’approccio “caso per caso” argomentato alla tedesca, in difesa dell’imperativo di non deflettere dal rispetto integrale dal patto di stabilità, di rimetterne in discussione lo spirito. Italia e Francia, da sempre iperflessibilisti (senza mettere in discussione la tenuta complessiva dei conti pubblici) hanno deciso di stare sottotraccia: sperano comunque di raccogliere il massimo della flessibilità nel negoziato con Bruxelles.
La posizione dell’Italia è delicata perché il governo ha chiesto di far scattare tutte e tre le clausole: riforme, investimenti e migranti. Nei conti dell’Italia tale flessibilità vale 17 miliardi, non è prevista nel 2016 una riduzione strutturale del deficit pubblico e il pareggio di bilancio viene rinviato al 2018.
Che la partita delle interpretazioni delle regole di bilancio sia tutt’altro che chiusa lo dimostra anche la discussione in corso sulla ‘codificazione’ dell’approccio della Commissione europea sulla flessibilità con cui valutare i bilanci degli Stati. L’interpretazione è una sua prerogativa, salvo poi che i ministri decidano di non accettarla per i singoli casi in esame.
E’ una discussione che alti funzionari Ue definiscono “non lineare”, densa di tentativi di smorzare il tono dell’approccio comunitario. Riemerge il fastidio con cui certi governi europei hanno mal digerito la concessione di flessibilità alla Francia come all’Italia l’anno scorso. I casi dei due paesi sono radicalmente diversi, essendo la Francia sotto procedura per deficit eccessivo e l’Italia abbia un deficit sotto il 3% del pil. Ma alla Germania, all’Olanda e alla Finlandia il riconoscimento all’Italia non è andato proprio a genio.
Gli ottimisti ritengono che il trasferimento nel ‘codice di condotta’ sui bilanci pubblici dell’approccio della Commissione non sarà comunque smentito e che i margini di manovra attuali resteranno. Magari il percorso risulterà solo un po’ più tortuoso e l’esito meno scontato dall’inizio.
Altro segnale che l’approccio ‘flessibile’ comunitario scontenta il ‘fronte del nord’, è il rilancio dell’idea del Consiglio di bilancio, un organismo indipendente a livello europeo che dovrebbe fornire una valutazione sul modo in cui le regole di bilancio sono rispettate. Un modo, secondo alcuni, per restringere gli spazi alle interpretazioni flessibili di Palazzo Berlaymont (sede della Commissione europea).