Per quanto non abbia conseguenze effettive, almeno per ora, la Grecia si trova in Europa in ‘default’, fallimento. E’ scritto nero su bianco in una nota ufficiale dell’European Financial Stability Facility, il fondo salva Stati della zona euro messo in piedi all’origine della crisi finanziaria che ha travolto via via diversi paesi e la cui eredità è passata poi all’European Stability Mechanism. Il mancato pagamento di 1,5 miliardi al Fondo monetario internazionale “si configura come un caso di fallimento da parte della Grecia, secondo gli accordi dell’Efsf con la Grecia”, indica l’Efsf. Non accadrà nulla, perché l’Efsf, i cui azionisti sono i governi della zona euro, ha deciso di avvalersi della “riserva a esercitare i diritti” a chiedere il ripagamento dei prestiti (144,6 miliardi) in attesa di valutare l’evolversi della situazione. Tale decisione era attesa, ma si iscrive in quella sequenza degli avvenimenti che rischiano di aumentare il volume della valanga che potrebbe scaricarsi addosso alla Grecia e all’Eurozona nel giro di poco tempo. Un elemento che aggroviglia ancora di più la crisi greca e aumenta la grande incertezza a due giorni dal referendum.
Klaus Regling è l’amministratore delegato dell’Efsf. Tedesco, è anche ammistratore delegato dell’Esm. Gli azionisti dei due fondi salva Stati sono gli stessi: i ministri finanziari. Le decisioni dell’amministratore delegato riflettono fedelmente le volontà dei governi della moneta unica. E i governi della moneta unica hanno deciso di non tirare la corda attorno a Tsipras in questo momento sul piano degli ‘eventi finanziari’. Anche perché tirare quella corda si trasformerebbe in un boomerang. Per ora si limitano a reagire in termini politici, lavorando per la vittoria del sì al referendum di domenica e cercando di convincere che, in caso di vittoria del no, la Grecia si ritroverà più debole. “Drammaticamente più debole”, secondo il presidente della Commissione europea Juncker.
La decisione dell’Efsf non è importante perché magnanima. E’ semplicemente una scelta di realismo peraltro annunciata di fatto ieri dalla Commissione europea. Fra le tre opzioni esistenti: abbuono del debito, richiesta di rimborso e riserva di esercitare i propri diritti più avanti, è stata scelta la terza. La più morbida, la più attendista. Qualcuno ha parlato di minaccia, ma è una sciocchezza: a un certo punto il debitore deve raggiungere un accordo con il creditore – o viceversa – se non vuole che arrivino sanzioni e le ingiunzioni del tribunale. Il problema è che nella zona euro non ci sono poliziotti, non ci sono regole per un paese che va in ‘default’ e che non può essere costretto ad abbandonare la moneta unica. E forse anche su questo si poggia l’azzardo di Tsipras.
L’uscita dall’unione monetaria può essere però forzata e la via più ovvia nella situazione della Grecia è il fallimento totale del sistema bancario. Perché ciò avvenga basterebbe che la Bce chiudesse i rubinetti della liquidità.
C’è chi ritiene che in caso di mancato accordo è certo il ritiro del sostegno finanziaria della Banca centrale europea alle banche elleniche. Probabilmente chi sostiene questa tesi sottovaluta un argomento importante: la Bce non può per definizione sottovalutare i rischi derivanti dal fallimento delle banche greche, così come non può sottovalutare la corsa agli sportelli, l’instabilità politica in Grecia nella fase successiva al referendum, perfino l’instabilità sociale di un paese membro.
Ognuno di questi rischi, o tutti questi rischi insieme, possono avere un effetto potenzialmente negativo sulla stabilità finanziaria della zona euro nel suo insieme. Potrebbe darsi anche il caso che in futuro la Bce debba intervenire ai limiti del suo mandato anche per eventi originati in Stati che non fanno parte dell’unione monetaria e possono comportare rischi sistemici per l’area euro.
Che la Bce si assuma la responsabilità di non intervenire in una tale situazione per mantenere l’integrità della zona euro (in teoria, anche a prescindere dalla permanenza della Grecia) è davvero improbabile. O è improbabile che almeno Mario Draghi voglia evitarlo piaccia o non piaccia alla Bundesbank.
La certificazione europea del ‘default’ greco nutrirà senza dubbio gli allarmi recenti delle agenzie di rating. I mercati aspettano di vedere che cosa uscirà dalle urne elleniche domenica. E’ curioso notare come le grandi banche internazionali si siano messe a pubblicare analisi e qualcuna anche a improvvisare sondaggi sulle opinioni degli elettori ad Atene. La tensione negli ultimi giorni sui mercati è cresciuta. Lo stesso Efsf, alla fine della sua nota, indica che la sua capacità “di ripagare i detentori di bond” non è minimamente in discussione. L’unico argomento è questo: “Gli investitori sanno che i titoli Efsf beneficiano di una struttura di garanzia robusta”. Certamente è robusta visto che l’emittente è un organismo intergovernativo, ma il messaggio non è tanto per l’oggi, quanto per il medio-lungo periodo: quali saranno i prezzi delle emissioni future dell’Esm?
Sempre in tema di ‘default’ la Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato un articolo nel quale si sostiene che la Grecia potrebbe già trovarsi in stato di fallimento verso la Bce per non aver pagato un debito di 470 milioni entro fine giugno. Il giornale tedesco indica che la Bce sta verificando la situazione e che potrebbe esserci il sospetto di un “finanziamento monetario” allo Stato greco, vietato dal Trattato Ue.
Si tratterebbe dell’eredità di prestiti precedenti concessi dalla Banca di Grecia al governo ellenico fino alla fine del 1993, prestiti che vengono rimborsati gradualmente. I pagamenti sono sempre stati effettuati alla fine di giugno. In una nota JP Morgan indica che sono disponibili, in realtà, i dati di bilancio alla fine di maggio 2015, ma se l’articolo della Faz è corretto “il pagamento di giugno non è stato fatto”. E’ presto per dire se ciò è vero o falso, ma il caso dimostra quanto sia scivoloso il terreno del fallimento.