I cambiamenti alla legge di stabilità rispetto agli obiettivi di bilancio fissati, se peggiorano i saldi, vanno “compensati”. E’ questo il commento della Commissione europea alla clamorosa sentenza della Corte costituzionale, che ha bocciato lo stop per due anni alle indicizzazioni delle pensioni “alte” (rispetto alla media) e che costringerà il governo a rivedere i conti per quest’anno e per l’anno prossimo. Dichiarata la posizione di principio, l’esecutivo Ue non si sbilancia: sono in corso contatti diretti con il Tesoro. “La Commissione è in attesa di capire come il governo italiano intende applicare la decisione dei giudici”, hanno indicato fonti europee. Nella migliore delle ipotesi il ministro Pier Carlo Padoan può riuscire a ‘strappare’ un obiettivo di deficit al 2,8% quest’anno a fronte del previsto 2,6%. La sentenza della Corte peggiora improvvisamente le condizioni in cui si muove il governo. E rende incerto un negoziato che a Roma e a Bruxelles veniva dato già per chiuso con l’approvazione della strategia di bilancio italiana. E’ difficile, in ogni caso, che cambi l’orientamento flessibile nella valutazione del caso italiano.
A quanto risulta la posizione del commissario agli affari economici Pierre Moscovici è di massima cautela. Fino a quando il governo italiano non chiarirà i passi che intende intraprendere non ci saranno indicazioni precise. All’epoca dello stop alle indicizzazioni delle pensioni superiori a 1443 euro lordi l’anno per il 2012 e il 2013 (erano i tempi della grande crisi italiana di fine 2011 e Mario Monti era appena diventato primo ministro), la Commissione europea aveva sostenuto caldamente le misure del decreto ‘Salva Italia’. Peraltro, il freno alle indicizzazioni automatiche è sempre stata una misura considerata da Bruxelles positivamente, sia per quanto riguarda le pensioni sia, soprattutto, per quanto riguarda le dinamiche delle retribuzioni. Ora Bruxelles è di fronte a vari episodi di rigetto delle misure di riduzione delle pensioni da parte dei giudici delle alte corti: è successo in Portogallo, in Grecia e ora anche in Italia.
Al di là di questo aspetto politico generale, la sentenza della Corte costituzionale apre potenzialmente una falla nella strategia di bilancio italiana per quest’anno e l’anno prossimo. Il paradosso è che l’orientamento della Commissione sul Def (cioè sulla legge di stabilità italiana appena inviata a Bruxelles che sarà valutata approfonditamente a metà mese) era già sostanzialmente positivo. Stando a fonti europee, le stime economiche che la Commissione presenterà domani alle 11 dovrebbero riflettere tale orientamento favorevole. Per il 2015 l’Italia prevede una crescita del pil di 0,7 e per il 2016 di 1,3% con un deficit/pil nominale di 2,6% e 1,8% rispettivamente. Confermato il deficit strutturale a quota 0 nel 2017.
Recentemente il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis aveva indicato che “le nostre stime sono molto vicine a quelle dell’Italia, ho fiducia che l’Italia raggiungerà gli obiettivi di bilancio, anche se molto resta da fare”. La flessibilità a causa delle riforme strutturali intraprese significa per il 2016 un margine di manovra sul bilancio di 6,4 miliardi (0,4% del pil). Ora si tratta di capire se questo margine sarà divorato da una spesa aggiuntiva che potrebbe essere fra i 5 e i 10 miliardi (forse anche di più). Bruxelles aspetta di conoscere innanzitutto il “conto”, poi come sarà spalmata nel tempo la spesa aggiuntiva per rimborsare i circa sei milioni di pensionati. E naturalmente vuole sapere come il governo intende, appunto, “colmare” il “buco” rispetto alle previsioni.
Va detto che la Commissione non aveva certo applaudito all’idea del “tesoretto” annunciato da Matteo Renzi: 1,6 miliardi da spendere per sostenere i consumi quest’anno sulla base della previsione che nel 2015 il deficit non sarà al 2,6%, ma al 2,5%. La ragione è semplice: difficile contare su una cifra che ancora non si è realizzata soprattutto a fronte delle tante incertezze sulla riuscita della ‘spending review’ (risparmi per 10 miliardi nel 2016), degli incassi da privatizzazioni (27 miliardi entro il 2018).
L’attesa era comunque di un sostanziale via libera all’uso della flessibilità nell’interpretazione delle regole del patto di stabilità, con la conferma dell’apertura di credito al governo italiano, di cui vengono riconosciute l’ambizione del programma di riforme e la determinazione nel realizzarlo. E’ oltremodo difficile (meglio, improbabile) che tale impostazione, peraltro valida per l’insieme dei paesi sotto esame, venga ora rovesciata. La porta della flessibilità sulle politiche di bilancio non può essere sbarrata dopo soli due mesi.