Per la prima volta dal 2007 in tutti gli Stati della zona euro la crescita quest’anno sarà positiva. E’ una vera e propria svolta quella confermata dall’ultimo rapporto trimestrale sull’unione monetaria pubblicato dalla Commissione europea, un punto di riferimento dell’analisi sulle tendenze macro e microeconomiche. Non ci sono novità rispetto alle recenti stime invernali che hanno rivisto al rialzo l’aumento del pil quest’anno a 1,3% e l’anno prossimo all’1,9%. Ma, nonostante questa intonazione positiva, avverte il direttore generale degli Affari economici Marco Buti, “le prospettive di crescita nella zona euro restano fragili, nel breve termine l’economia deve ancora passare dalla spinta favorevole in una ripresa in grado di sostenersi da sola”. Grazie al declino dei prezzi petroliferi, al deprezzamento dell’euro, al graduale rafforzamento della domanda estera e al programma di acquisto dei bond sovrani da parte della Bce ci sono le condizioni per sfruttare appieno quella che viene chiamata “finestra di opportunità”. Tutte le speranze sono sulla spinta agli investimenti offerta dal ‘piano Juncker’.
Da molto tempo sia la Commissione europea che l’Eurogruppo insistono sulla fragilità delle prospettive economiche e di qui l’appello ai governi a non smorzare l’azione di modernizzazione dell’economia attraverso le riforme strutturali. La spinta delle riforme interne, però, non sarà sufficiente a imprimere uno slancio di una certa intensità alla crescita almeno nella fase iniziale (secondo i più pessimisti almeno uno o due anni). La tesi della Commissione è che occorre agire adesso per migliorare la competitività dei sistemi economici e la crescita potenziale per poter domani ‘viaggiare con le proprie gambe’ senza le varie stampelle cui si appoggia la ripresa di oggi: condizioni monetarie straordinariamente favorevoli, il cambio dell’euro, la ciambella di salvataggio della Bce prolungata nel tempo (l’operazione liquidità durerà fino a settembre 2016 e potrebbe anche proseguire oltre se il tasso di inflazione non sarà stabilizzato sotto ma vicino al 22%). E, naturalmente, il commercio mondiale. Di qui il concetto della ‘finestra di opportunità’.
E’ interessante notare come in questo aggiornamento dell’analisi della Commissione non vengano evidenziati i rischi economici su scala globale: dai prezzi del petrolio in rialzo a causa del peggioramento della situazione geopolitica delle aree di produzione mediorientale alla sempre più marcata differenziazione delle politiche monetarie su scala mondiale al correlato andamento del cambio sulla spinta del diverso atteggiamento americane sul livello del dollaro. Così come non venga evidenziato il rischio Grecia. O viene dato per scontato che questo in realtà non ci sia più e si sta davvero andando verso un accordo sulla gestione del programma di aiuti e sul debito ellenico oppure si teme talmente si possa realizzare lo scenario opposto che si evitano accuratamente giudizi e osservazioni che possano spingere gli eventi in tale direzione.
La Commissione Ue mette in rilievo le “sfide” economiche del breve e del medio-lungo termine. Per il breve si puntano tutte le carte sul Fondo europeo per gli investimenti strategici: dovrebbe compensare l’impossibilità di finanziare i progetti infrastrutturali direttamente con soldi pubblici perché la politica di bilancio è sostanzialmente “neutrale”, cioè non si spinge né nel senso restrittivo né nel senso espansivo in termini aggregati. La spinta dovrebbe arrivare dall’attrazione dei capitali privati sulla base delle garanzie pubbliche e di 5 miliardi freschi della Bei. Obiettivo 315 miliardi di finanziamenti in tre anni (2015-2017) con un moltiplicatore di 1 (euro pubblico) a 15 (totale del capitale mobilitato). E’ tutto da dimostrare che funzioni davvero specie in un contesto in cui i comportamenti deflazionistici sono ancora largamente prevalenti. La politica di bilancio viene giudicata “appropriata”, ma prudentemente Bruxelles ricorda che la distribuzione tra i paesi della zona euro dell’equilibrio lascia a desiderare. Gentile avvertimento alla Germania, che anche secondo la Commissione dovrebbe spingere più a fondo l’acceleratore dell’investimento pubblico. Non basta l’apporto dei ‘fondi sovrani’ nazionali di Germania, Francia e Italia al nuovo Fondo per gli investimenti strategici (8 miliardi da parte di ciascuno dei tre paesi) a far la differenza.
Poi la sfide del medio termine per fronteggiare invecchiamento della popolazione e rigidità strutturali (del lavoro e dei mercati). E quelle del lungo termine racchiuse in una ‘titolo’: miglioramento della ‘governance economica’ perché l’attuale quadro dell’unione monetaria non è “pienamente compatibile” con la condivisione della moneta comune. Colpisce che la questione della ‘governance’ venga considerata da molti un fattore centrale non solo di stabilizzazione dell’aspettativa che la zona euro è davvero in grado di resistere ai marosi dell’economia e di tenere insieme l’intera struttura dell’unione monetaria. Il problema è che tale fattore è decisivo per l’oggi, richiederebbe misure coraggiose piuttosto rapide. La Commissione conferma invece che si tratta di un obiettivo di lungo periodo pensando evidentemente che sia sufficiente abbozzare il percorso politico futuro dell’Eurozona per convincere cittadini e mercati di essere in grado di resistere alle sfide dell’oggi. Traspare la presa d’atto che ancora non ci sono le condizioni politiche per cambiamenti politicamente significativi dell’attuale quadro di ‘governance’. Il primo appuntamento per appurarlo è il vertice dei capi di Stato e di Governo a giugno.