Negli ultimi giorni sembra che la corda a disposizione di Atene sia più corta di quanto atteso dal governo ellenico. Ci sono due segnali importanti che sarebbe meglio non prendere sottogamba. Il primo arriva dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Attraverso le colonne del Financial Times segnala che se la Grecia vuole evitare il rischio di trovarsi senza soldi nel giro di un mese e, di conseguenza, nell’impossibilità di non poter sostenere i pagamenti tra cui 1,4 miliardi al Fondo monetario, deve cominciare a varare alcune misure economiche concordate nel quadro del programma di aiuti appena prorogato per 4 mesi. Questa, infatti, è la condizione dei creditori dell’unione monetaria per sborsare l’ultima ‘tranche’ di 7,2 miliardi prevista dal ‘vecchio’ programma di 172 miliardi. Il messaggio è che a Tsipras non conviene aspettare fine giugno. Né conviene fare giochetti tattici appoggiandosi ora sull’uno ora sull’altro dei protagonisti della trattativa: è con l’Eurogruppo che Atene deve trattare e fare i conti finali. Il ruolo della Commissione europea è importante, fondamentale, ma non è a palazzo Berlaymont che si chiudono le partite.
Il secondo segnale da non prendere sottogamba riguarda le relazioni politiche tra la Grecia e gli altri paesi, in particolare alcuni paesi del ‘fronte del sud’. Tsipras ha accusato Spagna e Portogallo di aver cercato con la loro intransigenza di asfissiare la Grecia nel difficilissimo negoziato con l’Eurogruppo. Madrid e Lisbona hanno reagito duramente, con i rispettivi premier (Rajoy e Passos Coehlo, entrambi del partito popolare europeo) pronti a denunciare l’accusa ai vertici delle istituzioni europee con tanto di note diplomatiche. È vero che i governi di Spagna e Portogallo temono che la vittoria di Syriza in Grecia possa produrre un effetto valanga anche nei loro territori elettorali. In Spagna le elezioni politiche si svolgeranno in autunno e il partito popolare potrebbe essere scavalcato sia dal partito socialista che dalla nuova formazione di sinistra Podemos. E in autunno sono previste le elezioni anche in Portogallo con la previsione di un arretramento sia del partito socialdemocratico di centro-destra (oggi al governo) sia del partito socialista. Se si scopre che il contrasto radicale delle politiche di austerità di marca europea paga (caso Grecia), la valanga è sicura. Ciò spiega i timori politici dei governi spagnolo e portoghese, ma se il problema fosse tutto lì non sarebbe gran cosa: spetta agli elettori, infatti, il giudizio sulle politiche praticate dai governi, e ai partners europei non resta che prenderne atto.
La questione politica aperta è un’altra: avrebbero potuto spagnoli e portoghesi accettare senza colpo ferire di concedere ai greci una serie di sconti o lo spazio per azioni unilaterali sul debito dopo aver tirato la cinghia i primi sotto il programma di salvataggio per le banche e i secondi per il programma di salvataggio della Troika? Oltretutto correndo anche un certo rischio in quanto partecipanti ai Fondi europei di salvataggio? Certamente no. La rottura del ‘fronte del sud’ era già emersa da tempo, data appunto l’esposizione dei paesi del sud, Italia in primo luogo, sui prestiti concessi alla Grecia. Ora viene rincarata la dose in termini politici dal premier greco. Forse varrebbe la pena, da parte greca, ritessere una tela di alleanze.