La Commissione europea ha sostanzialmente accettato l’impostazione del governo italiano e, sfruttando tutti i margini di flessibilità nell’interpretazione delle regole europee sui bilanci pubblici, dà il suo giudizio positivo finale sui conti pubblici sulla base di una analisi accurata della situazione del debito (quello italiano è il secondo più alto della Ue a oltre il 133% del pil dopo quello greco). E, anche se ritiene che “l’Italia resti vulnerabile a ogni improvviso aumento dell’avversione al rischio nei mercati a causa dell’alto livello del debito e del basso potenziale di crescita”, le passate riforme delle pensioni e le riforme intraprese e sulle quali si è impegnato il governo ne rafforzeranno la sostenibilità. I fattori su cui poggia il giudizio favorevole di Bruxelles sono le circostanze economiche negative e l’inflazione negativa e comunque bassa combinate all’azione per le riforme strutturali. In ogni caso, l’azione del governo sarà monitorata regolarmente. Secondo il sistema di ‘governance’ economica europeo ogni volta che la Commissione pubblica le stime macroeconomica la situazione degli Stati membri viene passata ai raggi x per verificare se impegni e regole (con tutte le flessibilità del caso) sono rispettati. Ciò avviene tre volte l’anno: febbraio/marzo, maggio e novembre. Per il debito, però, Bruxelles aspetta di avere accumulato il massimo numero di informazioni per cui normalmente dovrebbe condurre l’analisi verso fine anno.
La Commissione europea indica che la regola di riduzione del debito a prima vista non viene rispettata dall’Italia visto che invece di calare il debito aumenta fino al 133% del pil quest’anno per cominciare una leggera discesa dal 2016. Ciò dovrebbe far scattare una procedura per “deficit eccessivo” (la regola rientra in quella del deficit secondo il Trattato Ue). Questo in teoria. In pratica, la ‘governance’ economica europea prevede una serie di flessibilità che passano sotto il nome di “fattori rilevanti” e pesano nella valutazione finale. Da questo punto di vista, il caso italiano è il più completo e rende anche giustizia di tante approssimazioni nel giudizio sulla qualità delle regole di bilancio europee.
A causa di sviluppi economici negativi, ancora in corso, viene precisato nel rapporto degli economisti della Commissione, l’aggiustamento strutturale del bilancio necessario per rispettare la regola del debito nel 2014-2015 (parte del triennio transizione dopo la correzione del deficit eccessivo, superiore al 3% del pil) sarebbe dovuto essere di circa 2,5 punti percentuali di pil (37,5 miliardi di euro circa) per raggiungere un surplus strutturale dell’1,5% del pil nel 2015. Una mazzata per l’economia. “Nelle attuali circostanze economiche la richiesta di uno sforzo strutturale addizionale avrebbe avuto effetti negativi per la crescita e avrebbe aggravato ulteriormente l’andamento deflazionistico dell’economia, con la conseguenza che non avrebbe contribuito a portare il debito su un appropriato percorso di riduzione”, conclude la Commissione. Oltretutto l’Italia rispetterà l’aggiustamento strutturale richiesto anche nel 2015 dopo averlo rispettato nel 2014.
Il complesso marchingegno delle regole di bilancio più volte arricchite e allargate in alcune maglie (e ristrette in altre) stabilisce anche un legame tra effettiva attuazione delle riforme strutturali, di investimenti e di uso prudente dei bilanci pubblici per sostenere la creazione di posti di lavoro e la crescita economica. L’Italia ha fatto valere l’impegno ad adottare una serie di riforme strutturali, le riforme fatte (dalle pensioni al ‘jobs act’) e Bruxelles ha considerato tale sforzo di “policy” un “fattore rilevante” da tenere in considerazione. In conclusione, le condizioni dell’economia (tra il 2007 e il 2014 il pil si è contratto dell’8,7%, alle spalle ci sono tre anni consecutivi di recessione, l’inflazione cala dalla fine del 2012 e in gennaio era a -0,4%) rendono impossibile rispettare la regola del debito. A questo si aggiungono costituiscono gli altri due “fattori rilevanti” riconosciuti all’Italia: lo sforzo di riforma strutturale e il rispetto degli obiettivi di deficit strutturale.
Bruxelles invece non sottoscrive alla cifra le stime italiane sull’impatto delle riforme sul pil. In linea generale ritiene che “le misure prese sono attese avere un impatto positivo sulla crescita e di qui sulla sostenibilità delle finanze pubbliche”. Da notare la cautela: la Commissione non dice chiaramente che le misure prese ‘avranno’ un impatto positivo. Il governo stima che l’impatto complessivo di tutte le riforme, indipendentemente dallo stato di attuazione, entro il 2020 sarebbe del 3,9% del pil (1,1% per le riforme dei mercati dei prodotti, 0,9% da quelle per il mercato del lavoro, 1,4% per quelle della pubblica amministrazione di cui 0,4% per la giustizia, 0,3% da quella della scuola, 0,2% da quella fiscale). Bruxelles segnala che si tratta di stime non certificate da una istituzione indipendente nazionale e che comunque “sembrano sovrastimare l’impatto delle riforme”. A patto che si realizzino integralmente. Tutto questo, però, sarà oggetto di analisi e valutazioni a tempo debito.