Indicizzare i bond sovrani alla crescita del pil “non è un trucco per non pagare il debito, è un sistema per pagare i creditori di più quando si può e l’economia va bene, di meno quando l’economia va male. Ed è un sistema per applicare il principio per cui quando l’economia va bene continua l’azione per risanare il bilancio pubblico, quando l’economia va male vengono evitate politiche pro cicliche come è accaduto in Grecia e nell’Eurozona”. Paolo Mauro, economista per molti anni al Fondo monetario internazionale e attualmente al Peterson Institute of International Economics di Washington, non ha dubbi sull’utilità della proposta del governo greco di scambiare una parte del debito attuale con due tipi di nuovi titoli pubblici: il primo legato, appunto, all’andamento del pil, il secondo consisterebbe in una obbligazione “perpetua” (la Grecia non rimborserebbe il capitale ma verserebbe interessi sul capitale versato).
Il vantaggio dell’idea sulla quale sta lavorando il ministro delle finanze elleniche Yanis Varoufakis è semplice, spiega Mauro, che nel 2002 scrisse un ‘paper’ del Fmi proprio sui pagamenti del debito indicizzati all’andamento della crescita economica: “Dato che se l’economia cresce rapidamente si paga di più e se ristagna si paga meno, il rischio di ‘default’ risulta minore, si eviterebbe che il rapporto debito/pil resti in un circolo vizioso dal quale non si riesce a uscire. Si riduce l’incertezza sia per il debitore che per il creditore perché si riduce la probabilità di una crisi del debito. Nel caso della Grecia penso che i bond sovrani dovrebbero essere indicizzati alla differenza tra la crescita nominale del pil nazionale e la crescita nominale nella zona euro per non assicurare i greci più di quanto può essere accettato dagli altri paesi”.
Concretamente come funziona il meccanismo?
“Il bond viene indicizzato al tasso di crescita nominale con una clausola per cui il coupon sarà, ipotizziamo, del 3% se la crescita sarà del 4%, se la crescita del pil sarà del 5% il coupon viene aggiustato di un punto percentuale, se invece la crescita è del 3-4%, si paga il 3%. In sostanza, quando la crescita del pil è inferiore al livello considerato normale i pagamenti saranno inferiori a quando sarebbero in assenza della clausola di indicizzazione mantenendo il debito/pil a livelli sostenibili ed evitando costosi aggiustamenti di bilancio, quando la crescita è superiore lo Stato paga più”. Il meccanismo è lo stesso sperimentato con le indicizzazioni al tasso di inflazione, è stato sperimentato nel 2005 in Argentina nel quadro della ristrutturazione del debito, hanno emesso bond con un elemento di indicizzazione al pil Costarica, Bulgaria, Bosnia”.
La particolarità del caso Grecia è che una parte importante del debito oggi è detenuto dagli Stati attraverso i Fondi di salvataggio.
“Come hanno ricordato alcuni economisti di livello internazionale in una lettera pubblicata recentemente dal Financial Times (primo firmatario il premio Nobel Joseph Stiglitz – ndr), c’è il precedente della ‘bisque clause’ contenuta nell’accordo finanziario anglo-americano del 1946 che permetteva una rinuncia agli interessi negli anni in cui l’economia non raggiungeva certe condizioni. L’idea lanciata da questi economisti sul quotidiano britannico è che la Grecia non debba pagare il servizio del debito per i prossimi cinque anni, che pagherà solo quando l’economia non crescerà del 3% o più e fino a quando non avrà recuperato almeno metà del prodotto perso dal 2008”.
Se la ricetta può funzionare perché non è stata praticata in Europa?
“E’ diverso se i bond indicizzati sono frutto di un accordo con i governi che ora detengono una buona parte del debito ellenico o se viene introdotto come un nuovo strumento finanziario nei mercati internazionali. In quest’ultimo caso, il paese che li emette deve pagare un premio agli investitori, è difficile convincerli che si tratta di un buon investimento, non ci si fida. Quanto all’argomento per cui i governi avrebbero interesse a sottostimare la crescita per pagare meno interessi, penso che una crescita elevata sia un fattore importante che facilita la posizione dei governi presso gli elettori, sottostimare la crescita implica un costo politico enorme, sarebbe un boomerang per il consenso. Importante è che ci si fidi delle statistiche, cosa che nel caso della Grecia sappiamo essere stato un problema visto che la crisi è scoppiata quando è emerso che i conti erano sballati”.
Quante probabilità ci sono che i governi della zona euro accettino i ‘pil bond’?
“Le emissioni indicizzate alla crescita possono essere fatte in tantissimi modi, naturalmente, penso che qualche elemento di indicizzazione nel caso dei bond ellenici sarà fatto, può facilitare il negoziato complessivo con i creditori, può essere praticato in via bilaterale. In generale è importante che ci siano strumenti finanziari indicizzati emessi sui mercati internazionali, comprati da cittadini e da banche. Se vengono emessi da un paese come un elemento della ristrutturazione del debito, per evitare il fallimento, è un conto, c’è il peso dello stigma, dal punto di vista dell’immagine non è certo il momento migliore per farlo. Se i titoli vengono emessi da un paese che non è in crisi, se si mettono insieme tre o quattro Stati quando l’economia va bene, allora è un altro conto”. Si può aprire una prospettiva diversa.