Riparte il confronto sulla riforma strutturale delle banche per impedire ai gruppi sistemici e più complessi, “too big too fail” (troppo grandi per fallire), di dedicarsi ad attività che mettono a repentaglio la propria sopravvivenza e la stabilità finanziaria. Ma è già chiara una cosa: un ampio fronte di Stati si è schierato a favore della separazione del ‘trading proprietario’, cioè delle attività di negoziazione per conto proprio, definita in modo preciso, e a non a favore della proibizione secca perché questa potrebbe ostacolare la diversificazione delle fonti di entrate, in particolare su scala globale. Su questa linea con varie differenze si trovano Germania, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito. Solo pochi governi sostengono esplicitamente lo stop, sia pure definito in modo piuttosto stretto, in linea con la proposta della Commissione e l’opinione della Bce. Tale orientamento è stato accolto con soddisfazione da Londra (se tale linea sarà confermata non dovrebbe andare oltre le norme britanniche sulla separazione delle attività all’interno dei gruppi bancari), e da Parigi, fin dall’inizio agguerritissima nella difesa del modello di banca universale. Il relatore popolare svedese al Parlamento europeo Gunnar Hokmark ha sposato fino in fondo la tesi “moderata” e ha proposto una serie di emendamenti con l’obiettivo di assicurare che la separazione tra le attività commerciali classiche e le attività di negoziazione per conto proprio resti una scelta “di ultima istanza” nelle mani del supervisore. La Federazione bancaria europea ha subito colto la novità e ha annunciato che adesso ci sono le basi per un confronto. Il negoziato vero è sui confini della separazione delle attività che possono comportare rischi finanziari importanti.
Nei prossimi giorni e settimane si vedrà se i governi da un lato e il Parlamento dall’altro riusciranno a trovare un terreno comune dopo che la Commissione di fatto aveva lanciato l’allarme indicando la grande difficoltà di un accordo, tanto da ventilare addirittura di gettare la spugna, abbandonando il ‘dossier’ in attesa di tempi migliori. In gioco ci sono interessi importanti, riflesso nei vari modelli di struttura bancaria che prevalgono nei diversi paesi. La questione sul tavolo è: seguire la logica della proibizione per i gruppi sistemici di svolgere attività di negoziazione per conto proprio (impiego di capitali propri o presi a prestito per assumere posizioni in qualsiasi tipo di transazione, acquistare o vendere qualsiasi strumento finanziario per realizzare un profitto senza alcuna connessione con l’attività per conto dei clienti-depositanti o la copertura dei rischi corsi dalla banca dovuti all’attività svolta per conto dei clienti, investire in derivati, certificati o indici o qualsiasi altro strumento se il rendimento è collegato ad azioni o quote di fondi alternativi), oppure di definire precisamente i confini della separazione delle due attività all’interno del gruppo bancario? I paesi contrari alla messa al bando secca del ‘trading proprietario’, cui ricorrono largamente i gruppi bancari universali ma in tempi di crisi finanziaria, di sistemazione dei bilanci e di corsa al rispetto dei nuovi requisiti di capitale, meno che in passato, ritengono che sia meglio regolare in modo più stringente certe attività evitando il rischio, viene indicato esplicitamente in un rapporto tecnico dell’Ecofin consegnato agli Stati membri, che tali attività “siano svolte da entità meno regola o non regolato del settore bancario ombra”.
Anche la proibizione per una banca sistemica di acquisire o detenere parti o azioni di fondi di investimento alternativi viene considerata “eccessivamente restrittiva” tanto da poter ostacolare il finanziamento delle imprese. Di qui la proposta avanzata da qualche governo di limitare eventualmente tale proibizione solo ai fondi che operano con un ‘leverage’. Negli ultimi incontri tecnici prima della fine dell’anno e sulla base dell’esperienza degli Stati membri che hanno varato norme sul modello strutturale di banca (Belgio, Germania, Francia e Regno Unito), la presidenza italiana ha proposto una definizione del ‘trading proprietario’ considerando tutto ciò che non appare in una lista di attività di ‘trading’ permesse: dai servizi ai clienti, al ‘market making’ (si tratta dell’attività di supporto agli scambi), dalla gestione di tesoreria alla copertura dei rischi, dalla compensazione all’acquisto/vendita di strumenti finanziari acquisiti con l’intenzione di tenerli durevolmente). L’idea centrale condivisa da un ampio numero di governi è che tutto ciò che non è permesso va considerato “trading proprietario” , attività che può essere svolta solo da una entità separata legalmente all’interno del gruppo bancario. Per i fondi alternativi una ipotesi di compromesso riguarda l’obbligo di separazione solo in relazione a quelli che operano con un ‘leverage’ molto alto, includendo non solo gli investimenti in parti o in azioni di tali fondi ma anche le esposizioni di credito non garantite e le garanzie ai fondi.
Sulla separazione di altre attività di ‘trading’ la linea sulla quale lavorerà la presidenza lettone dell’Ecofin è assicurare un alto grado di discrezionalità al supervisore nella decisione evitando automatismi, prestando la massima attenzione agli indicatori di rischio per misurare i possibili effetti di certe transazioni. Tenendo presente anche la necessità di impedire che l’entità di ‘trading’ del gruppo bancario concentri un’enorme attività tale da renderla ‘troppo grande per fallire’. In sostanza, il supervisore (cioè in ultima istanza la Bce), deve usare tutta la sua forza di analisi e verifica applicando misure prudenziali in grado di dissuadere le banche da gettarsi a capofitto in attività rischiose.