Stop al dogma della riduzione annuale obbligatoria del deficit pubblico strutturale dello 0,5% del pil, maglie un po’ meno strette per calcolare l’impatto della spesa per investimenti, rafforzamento della sorveglianza e attuazione piena delle procedure sugli squilibri macro-economici per mantenere la pressione sugli Stati affinché varino e attuino riforme strutturali. Sarebbero questi capisaldi della comunicazione sulla ‘nuova’ flessibilità delle regole di bilancio che la Commissione europea dovrebbe varare e pubblicare la prossima settimana. Secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore Radiocor, il possibile dimezzamento della regola dello 0,5%, che di fatto è già stato concesso all’Italia per il bilancio 2014, sarebbe reso esplicito e, rispetto a quanto stabilito da Bruxelles un anno e mezzo fa nella cosiddetta ‘clausola per gli investimenti’, potrebbe sparire l’esplicito riferimento alla necessità di rispettare la regola del debito. In ogni caso sono ancora in corso discussioni al massimo livello politico.
Per avvicinarsi al pareggio di bilancio o al quasi pareggio, gli Stati dell’unione monetaria devono assicurare “un miglioramento annuale del bilancio strutturale dello 0,5% del pil”. Per gli Stati che hanno, come l’Italia, un debito/pil superiore al 100% lo sforzo in realtà dovrebbe essere superiore, anche se oltre alla richiesta dello 0,5% Bruxelles non è andata. Date circostanze economiche negative, sarebbe possibile ammorbidire tale regola, prevedendo solo un taglio annuale del deficit in termini strutturali pari allo 0,25% del pil. La Commissione in sostanza, stando alle informazioni raccolte da Il Sole 24 Ore Radiocor, eleverebbe a regola quanto è stato deciso per il caso italiano quando ha valutato positivamente la gestione dei conti pubblici 2014 a fine anno (resta pendente la valutazione sul bilancio 2015 che sarà definita a marzo). Per il 2014, infatti, il governo italiano ha previsto un disavanzo strutturale pari allo 0,6% del pil, con una riduzione di soli 0,2% punti percentuali rispetto al 2013 al posto di 0,5% chiesto dalla Commissione sulla base del patto di stabilità. La cosa è passata liscia sia dalla Commissione sia dall’Eurogruppo (per ora).
Per quanto concerne lo spazio per il trattamento della spesa per investimenti ci sono ancora molti elementi da definire per la versione finale del documento. A quanto sembra, la Commissione si appresterebbe comunque ad allargare la maglia (troppo stretta) della cosiddetta ‘clausola per gli investimenti’ definita a metà 2013 nonostante l’opposizione di mezzo Eurogruppo (Germania in testa).
Tra le soluzioni per ampliare il margine di flessibilità permettendo di deviare dall’obiettivo di medio termine del bilancio, c’è quella di evitare il secco e automatico riferimento al rispetto della regola del debito (che interessa particolarmente l’Italia) quale condizione per poter godere della clausola valida oggi, e di lasciare più margini alla valutazione del peso dell’output gap, cioè alla differenza tra il prodotto effettivo e quello potenziale in rapporto a quest’ultimo. Nello stesso tempo si prevederebbe una valvola di sicurezza più vincolante: il paese che gode di tale clausola dovrà mantenere un deficit/pil a significativa distanza dal fatidico tetto del 3%.
A far da contrappunto a tali aperture sarebbe la volontà di usare fino in fondo lo strumento delle procedure per squilibrio macroeconomico per esercitare la massima pressione sui governi a condurre riforme strutturali che aumentando la crescita economica ridurrebbero il carico dell’indebitamento. La dichiarazione di intenti del vicepresidente della Commissione Kirky Katainen di ieri (“Forse occorre usare di più la minaccia delle sanzioni”, aveva dichiarato in un convegno al Parlamento europeo) nasce in tale contesto.