Irrevocabile, l’adesione all’euro è irrevocabile. E’ questo il termine usato dalla Commissione europea per evitare che si ricarichi la tensione su una eventuale uscita della Grecia dall’unione monetaria. L’abbandono è giuridicamente impossibile una volta fissato “irrevocabilmente” il tasso al quale l’euro è subentrato alla moneta di uno Stato membro. In questo caso la dracma. Era scontata la reazione di Bruxelles ai “rumors” tedeschi secondo cui la cancelliera Merkel considera ipotizzabile l’uscita l’abbandono dell’euro da parte della Grecia. Certamente Bruxelles ha fatto capire che lo scenario di una rimessa in discussione dell’appartenenza all’euro semplicemente non deve essere previsto. E che agitarlo come strumento tattico allo scopo di convincere i greci a non decidere ‘colpi di testa’ sulla rinegoziazione del debito è un gioco assai pericoloso.
La questione della possibilità di uscire dalla moneta unica è abbastanza controversa. E’ vero che il Trattato Ue indica l’irrevocabilità della fissazione del tasso di cambio della moneta nazionale, ma è anche vero che prevede la possibilità per uno Stato di recedere dall’Unione, cioè da tutti gli obblighi europei in un colpo solo. Secondo alcuni ciò potrebbe implicare la possibilità di recedere anche solo da una parte di tali obblighi sulla base della constatazione che nell’Unione europea non tutti gli Stati, come è noto, aderiscono alla moneta unica perché hanno una deroga generale (Regno Unito e Danimarca) o perché non hanno i requisiti (tra i paesi che si trovano nella seconda situazione ce ne sono alcuni che fanno di tutto per evitare di averli). Il fatto che il presidente francese Hollande abbia ricordato che “i greci sono liberi di scegliere i loro governanti” e “quanto alla zona euro è la Grecia la sola a decidere”, sembra indicare che l’uscita di un paese dal consorzio della moneta unica non è poi così inimmaginabile. In ogni caso, Syriza non considera l’ipotesi di uscita dall’euro.
La vera questione è un’altra: il messaggio che la Germania vuole far arrivare ad Atene è che se le attuali politiche e gli impegni assunti con la Troika deragliano automaticamente il futuro del paese è a rischio. E che non saranno tollerate misure unilaterali sul debito. Il 60% dei 330 miliardi del debito greco è detenuto dalla Ue attraverso i fondi Efsf e Esm (di cui la Germania è l’azionista più pesante), il 12% è detenuto dal Fondo monetario internazionale, la Bce detiene l’8%. Il messaggio tedesco potrebbe essere sintetizzato così: se volete ristrutturare il vostro debito pubblico quella è la porta.
Sono in molti però a ritenere la situazione del debito ellenico, al 175% del pil, molto difficile, perdipiù aggravata dalla fase di deflazione, e che, nonostante Atene non pagherà gli oneri sui prestiti ottenuti negli ultimi anni che dal 2023, qualcosa la Ue alla fine dovrà inventarsi. Fino al 26 gennaio (in Grecia si voterà il 25) nulla sarà chiarito e le pressioni per non cambiare strada rispetto alle politiche della Troika si moltiplicheranno, ma non è realistico immaginare che non ci sarà alcun cambiamento. D’altra parte la Grecia è solo il primo scoglio del 2015: nella seconda metà dell’anno si apriranno le urne anche in Spagna e Portogallo, dopo che a maggio toccherà al Regno Unito. L’atteso rafforzamento del fronte anti-austerità nella penisola iberica (con il partito spagnolo degli ‘indignados’ Podemos in testa ai sondaggi) e l’atteso trionfo degli euroscettici britannici rischiano di imporre nuove priorità nell’agenda politica europea.