Il tentato affondo al Vertice europeo della cancelliera tedesca Angela Merkel per delimitare in anticipo i confini della flessibilità da applicare alla supervisione dei bilanci pubblici, la dice lunga sulla difficoltà del negoziato che si aprirà a gennaio con la pubblicazione della comunicazione speciale della Commissione europea. Ci lavorerà anche nel lungo ponte festivo il responsabile degli affari economici Pierre Moscovici. O, meglio, ci lavorerà la pattuglia di economisti che prepara il materiale per i vertici comunitari. Lo ‘showdown’ è solo rimandato. Berlino ha un obiettivo: fermare il gioco al rialzo avviato soprattutto dal governo Renzi. Il premier, infatti, non ha fatto mistero della sua intenzione di andare oltre lo scomputo del contributo diretto degli Stati al nuovo Fondo per gli investimenti previsto al ‘piano Juncker’ dai calcoli dell’indebitamento (ai fini della valutazione del consolidamento del bilancio). Obiettivo: aprire la porta alla ‘golden rule’, cioè all’esclusione di certi investimenti produttivi per realizzare progetti infrastrutturali e opere che rafforzano il potenziale di crescita. Oggi non sembrano esservi le condizioni politiche, eppure l’idea trova sempre più consenso tra politici, esperti non necessariamente di sinistra. E recentemente è stato Mario Monti a rispolverare il suo vecchio ‘cavallo di battaglia’: la ‘golden rule’ farebbe uscire l’Europa da una situazione di “irresponsabilità” collettiva.
Disciplina di bilancio e investimenti pubblici devono andare di pari passo: è questa la scommessa aperta da Juncker, dal Parlamento europeo, da molti governi. A parole sono tutti d’accordo, il confronto si arroventa quando si passa di dettagli. Per integralismo normativo (la Germania) o per una pesante tradizione di scappatoie (i paesi del fronte del sud), in una discussione-negoziato che combina aspetti di tattica politica interna e un dissidio strategico sulle priorità della politica pubblica in Europa (primazia del ‘fare i compiti a casa’ rispetto al vincolo della solidarietà tra Stati), non sembra esserci molto spazio per scelte coraggiose. Invece andrebbe recuperato respiro strategico, si dovrebbe uscire dall’area della reciproca diffidenza. Monti, per esempio, propone di esaltare al massimo il valore delle regole, ma perché ciò avvenga è necessario, ha scritto con l’europarlamentare liberale francese Sylvie Goulard in un ‘paper’ appena pubblicato, che Francia e Italia smettano di accusare la Germania di essere affetta di “legalismo” o di essere “tecnocratica” così come la Germania deve smetterla di accusare il Sud di “dissipatezza” economica e finanziaria perché sottolineano la necessità di “creare crescita.
Monti e Goulard dicono che per trovare dei punti di incontro occorre innanzitutto tenere presenti argomenti di semplice buon senso e rileggere attentamente alcuni testi. Per esempio andrebbe sottoposto a critica il patto di stabilità e di crescita (creato nel 1996), che si fonda su un’assunzione assai discutibile: tutta la spesa pubblica, anche quella produttiva che aumenta il potenziale di crescita, “è intrinsecamente cattiva e non deve essere finanziata dal debito mentre tutta la spesa privata, anche per consumi, è intrinsecamente buona e può anche essere finanziata dal debito senza controllo Ue”. Sappiamo come sono andate le cose nel corso dell’ultima crisi: è lo sfascio provocato nel settore privato (banche) che ha aperto voragini o approfondito le difficoltà di finanza pubblica.
Così come è interessante ricordare che la costituzione federale tedesca limitava l’indebitamento, ma si trattava di una restrizione “orientata al futuro: l’indebitamento pubblico era permesso solo per gli investimenti pubblici”. Poi per correggere le deviazioni del passato e per non correre rischi di eccessi di flessibilità a livello europeo, su pressione della Bundesbank, ricordano Monti e Goulard, con la revisione costituzionale del 2009 il ‘freno al debito’ (‘Schuldenbremse’) risultò “più stringente” con l’indicazione dell’obiettivo del bilancio in pareggio “senza permettere un trattamento speciale per gli investimenti”. “In un contesto di mancanza degli investimenti necessari, stagnazione e tassi di interesse molto bassi, le autorità tedesche hanno abbandonato la ‘golden rule’ e scelto un concetto restrittivo di bilancio in pareggio (Scharze Null) con un freno al debito”.
Il motivo per cui è necessario procedere verso una ‘golden rule’ sugli investimenti è che le deviazioni ammesse finora nei vari timidi aggiornamenti delle regole di bilancio si sono rivelati “sfortunatamente insufficienti”. Vent’anni fa il patto di stabilità aveva un obiettivo di breve termine: rassicurare la Germania che l’euro sarebbe stato forte come il marco. Ma la disciplina, avvertono Monti e Goulard, “non dovrebbe essere considerata in una prospettiva di breve termine”. Deve essere sorretta, accompagnata, da un’etica della responsabilità (collettiva) che contrasti la stagnazione, la bassa inflazione, rafforzi il potenziale di crescita. Ecco perché “non è appropriato chiedere più flessibilità per deviare dalle regole, è meglio chiedere regole che sono economicamente e moralmente più rigorose e più sensate in una prospettiva di medio termine”.
La proposta è che la Commissione faccia ciò di cui si discusse già nel 1996 (Monti rivendica una battaglia da lui fatta quando era commissario al mercato interno e da lui persa): avviare una riflessione tecnica e politica con l’obiettivo di concordare entro sei mesi su una lista di certe categorie di spesa che possa essere esclusa dalla soglia del 3% di deficit/pil. Prevedendo un regime ordinario (quando il deficit è inferiore al 3%) e un regime straordinario permettendo di sforare il tetto per un periodo limitato sotto strette condizioni. Sette i punti sensibili del negoziato: come calcolare l’impatto sul pil di tali investimenti nel breve e nel medio periodo e come evitare che i progetti siano motivati da interessi politici locali; vanno privilegiate le infrastrutture o va seguito un approccio decentralizzato dando la priorità alle pmi?; includere educazione e Difesa?; priorità all’azione di leva con un capitale pubblico limitato che attrae una massa più cospicua di capitali privati (è la strada del ‘piano Juncker)?; come evitare sussidi pubblici mascherati; come migliorare il funzionamento ancora parziale del mercato unico; come fronteggiare il rischio di corruzione “spesso legato alle gare pubbliche d’appalto e ai grandi progetti”. E’ quasi un programma di legislatura.