Nelle parole del finlandese Jyrki Katainen per Italia e Francia la strada è tutta salita: aver sfangato la richiesta formale di correzioni alla legge di bilancio 2015 (in sostanza una bocciatura) significa solo aver superato il primo scoglio. Importante, ma non esaurisce il percorso della supervisione europea. Intanto tutto è rimandato al giudizio finale sulla legge di stabilità appena corretta (+0,3% del pil di aggiustamento in termini strutturali del deficit), che sarà scrutinata attentamente per verificarne le eventuali debolezze. Bruxelles non esclude che a novembre possano esserci richieste di misure di bilancio aggiuntive e lo ha detto chiaro e tondo. Poi ci sono altre due scadenze: per l’Italia la prima riguarda gli squilibri macro-economici eccessivi (alto debito, competitività al lumicino), la seconda il rispetto della regola del debito, tema destinato a occupare il tavolo europeo alla fine dell’inverno.
La Commissione europea ritiene di aver dimostrato che la supervisione europea preventiva sui progetti di bilancio funziona: aver costretto due governi del peso specifico di Italia e Francia (in termini di pil e di grandi numeri) e politico (in termini di alleanza in Consiglio) ad apportare modifiche a progetti di legge appena sfornati è un successo di non poco conto. Il fatto che ciò sia avvenuto in via informale, senza ‘bocciature’, ha reso la questione più semplice, senza conseguenze esterne (impatto sui mercati), senza strascichi polemici tra le capitali e Bruxelles.
D’altra parte, i due governi hanno fatto buon viso a cattivo gioco: alzare l’asticella dell’aggiustamento è costoso, ma la misura non è drammatica, non tale da mettere in discussione l’impalcatura e il segno della legge di bilancio. In tal modo tutte le parti possono cantare vittoria. La partita però non è chiusa e spesso (nel caso dell’Italia spessissimo) le opinioni della Commissione europea sulle finanziarie italiane sono intessute di valutazioni e richieste aggiuntive anche pesanti per fronteggiare i rischio di bilancio. Katainen ha lasciato sul tavolo la minaccia di nuove richieste di manovre e aggiustamenti. Ha detto che ci si occuperà della “regola del debito”. Può averlo fatto per dimostrare che la Commissione non si è trasformato in colomba, ma può averlo fatto anche perché nell’intimo non c’è molta convinzione su vari aspetti delle ‘finanziarie’ di Italia e Francia. Il risultato è che tutti prendono tempo sperando che la situazione economica migliori.
Il commissario finlandese ha voluto dare due messaggi complementari. Il primo rivolto alla Francia è che non c’è stato tempo sufficiente per studiare a fondo le misure annunciate. Segno che i dubbi sono parecchi. Il secondo rivolto a entrambi i paesi: sulla valutazione delle leggi di bilancio deciderà l’intera Commissione, non si tratta di questioni sulle quali ha voce in capitolo solo il commissario competente (nel caso il francese Pierre Moscovici, che dal primo novembre sarà il nuovo responsabile degli affari economici ‘vigilato’ dall’ex premier lettone Valdis Dombrovkis).
Italia e Francia scommettono su Jean Claude Juncker forse un po’ troppo ottimisticamente e scommettono su un altro elemento: anche quei paesi che già varie volte hanno contestato l’uso non equo delle regole di bilancio (si tratta del fronte dei paesi sotto Troika o che hanno stretto la cinghia molto più di Italia e Francia) hanno tutto da perdere da un’Italia al quarto anno di recessione e da una Francia paralizzata. Di conseguenza, secondo uno scenario ottimistico, ci sarebbero nuovi argomenti per rafforzare la pressione sulla Germania affinché investa di più per espandere la domanda interna riequilibrando in tal modo l’economia dell’Eurozona. Può darsi che ciò accada, ma per ora non ci sono elementi per dire che questa è la via che sarà imboccata.
E’ interessante in questi giorni il silenzio della cancelliera tedesca Angela Merkel: all’ultimo vertice europeo, mentre Renzi e Hollande tessevano l’ultima tela per evitare la bocciatura delle loro leggi finanziarie, aveva lanciato messaggi più concilianti del solito confidando sul fatto che sarebbe stato trovato un buon compromesso. Poi però ha stretto il cerchio sull’invito di Mario Draghi a compiere delle scelte più coerenti sulla ‘governance’ economica, per dare all’Eurozona una regia degna di questo nome al lavoro dei governi sulle riforme economiche. E’ sempre più probabile che il tema della maggiore condivisione a livello europeo delle scelte di politica economica ritorni sul tavolo. D’altra parte, nella visione tedesca e anche in quella di Juncker la flessibilità sui bilanci pubblici deve far rima con una ‘governance’ più stretta. Il problema è che il ‘leitmotiv’ dei governi italiano e francese, stando alle dichiarazioni pubbliche dei loro esponenti, resta: ‘non prendiamo ordini da nessuno’.