Quanto difficile e incerto sia l’esito del grande negoziato sulle nomine dei vertici Ue e’ dimostrato anche dall’emergere del caso Moscovici. Non ci sono solo i contrasti nazionali, quelli tra famiglie politiche e quelli fra est e ovest sui posti chiave dell’Unione (presidente permanente, rappresentante di politica estera e sicurezza, Eurogruppo), ma anche contrasti sulle posizioni importanti nella nuova Commissione. Uno di questi posti e’ la responsabilita’ degli Affari economici, sulla quale sono in pieno corso i grandi lavori della Francia per piazzarvi l’ex ministro delle finanze. E’ una prospettiva che allarma Berlino. I problemi non riguardano la persona di Moscovici, ha dichiarato il ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble alla radio pubblica Deutschlandfunk, ma “quale sarebbe la reazione dell’opinione pubblica, non solo in Francia ma il tutta Europa se un tale posto fosse occupato da un candidato francese?”. Cio’ ha a che vedere con il mancato rispetto degli impegni di deficit
pubblico nonostante, ricorda Schaeuble, “la Francia abbia ottenuto a due riprese piu’ tempo” per raggiungere gli obiettivi concordati.
Jean Claude Juncker si è impegnato a dare gli affari economici a un esponente socialista. Questo è parte integrante degli accordi raggiunti per ottenere il consenso del Parlamento europeo e non è in discussione. Ciò che è emerso negli ultimi giorni è la freddezza della Germania alla prospettiva che il portafoglio dell’economia sia attribuito a un paese che attualmente si trova sul filo del rasoio non tanto perché il ciclo economico è peggiorato, quanto perché il governo non riesce a incidere sulla dinamica della spesa pubblica. Schaeuble non usa le parole a caso. Non mette in discussione la legittimità della Francia di vedersi attribuita un portafoglio di quella importanza: gli Affari economici rappresentano il cuore pulsante della supervisione di bilancio e macroeconomica e dovranno preparare una proposta per usare il più possibile i margini di flessibilità esistenti nelle attuali regole di bilancio. Schaeuble avanza un problema di opportunità e poi ha indicato qual è secondo lui il problema della Francia: non può beneficiare di altra flessibilità sui tempi, “ha già ottenuto a due riprese un rinvio supplementare per ridurre il deficit pubblico, il solo fatto di parlarne non crea fiducia, crea al contrario incertezza”. Dopo il fallimento del primo negoziato tra i capi di Stato e di Governo sulle nomine Ue, ci sono sei settimane di tempo per trovare un accordo su tutte le nomine. E’ ovvio però che se tutte le nomine sono collegate tra loro, Jean Claude Juncker, non vuole stare con le mani in mano fino al 30 agosto in attesa che siano risolti i contrasti su chi sarà il “ministro” (o la “ministra” degli esteri), su chi sostituirà Herman Van Rompuy alla presidenza Ue e Jeroen Dijsselbloem alla guida dell’Eurogruppo.
L’Italia è pronta a sostenere Moscovici per due ragioni: la prima è che sull’asse Roma-Parigi si fonda la strategia della flessibilità sulle regole di bilancio e sul trattamento delle spese per investimenti pubblici, la seconda è che Matteo Renzi ha bisogno del sostegno di Francois Hollande per tenere in piedi la candidatura di Federica Mogherini agli “esteri”, candidatura che nella prima fase del negoziato sulle nomine non è passata. Non è chiaro come andrà a finire la partita della flessibilità del patto di stabilità come non è chiaro come andrà a finire la partita delle nomine di livello più alto. I tempi tra le due partite non coincidono ovviamente. Ma è chiaro che siamo in mezzo a una serie di segnali politici che vengono inviati perché abbiano un effetto.
Secondo alcuni osservatori, il messaggio di Schaeuble potrebbe essere solo un avvertimento: Moscovici potrebbe alla fine anche andare agli Affari economici, ma dovrà assicurare che tratterà il suo stesso paese con il massimo rigore senza alcuna concessione speciale. Secondo altri, il rischio è che la Germania si chiuda comunque a riccio e non freni ancor più di quanto abbia avuto in mente fino a ieri (se davvero lo ha avuto in mente) il processo di “flessibilizzazione” delle regole di bilancio. E’ un rischio dal quale l’Italia avrebbe tutto da perdere. Negli ultimi giorni è emerso un quadro più complicato: il peggioramento delle prospettive di crescita spingerà il deficit/pil italiano verso la fatidica soglia del 3%. Ai fini degli obiettivi di medio termine le valutazioni vengono fatte in termini strutturali e quindi si terrà conto dello scenario di crescita peggiore, ma il limite nominale non va comunque superato e si riaffaccia lo spettro di una manovra finanziaria a breve.
Sulla questione delle nomine chiave alla Ue non ci sono novità negli ultimi giorni. Da parte italiana non sono emerse finora alternative al nome di Federica Mogherini al posto di “ministra” degli esteri e per la verità a Bruxelles nessuno se le aspetta. Non è infatti interesse dell’Italia fare la prima mossa: Matteo Renzi non ha voluto farla a Bruxelles nel corso della riunione di metà settimana a Bruxelles, non si vede perché dovrebbe farla adesso all’inizio del secondo “round” negoziale. Cambiare portafoglio o addirittura cambiare persona adesso rifletterebbe estrema debolezza, situazione nella quale Renzi non vuole scivolare. Ma a un certo punto una scelta si imporrà. E’ evidente l’urgenza di tessere quella ‘tela europea’ che a detta di molti non è stata tessuta “prima” di mercoledì scorso o è stata tessuta in misura insufficiente.
Una questione dirimente sarà quale ruolo attribuire a un esponente dei paesi dell’Est: un riconoscimento dovuto a dieci anni dal grande allargamento e dovuto ancora di più perché è proprio dal ‘fronte dell’Est’ che sono arrivate le bordate contro Mogherini, criticata per le posizioni ritenute troppo filorusse. Nel frattempo però Juncker intende procedere con la formazione della sua Commissione, ma è evidente che se non si mette un nome e una bandiera (nazionale) sulla carica di alto rappresentante di politica estera e sicurezza, le altre caselle di prima fila (affari economici, concorrenza, mercato interno, commercio) non potranno essere riempite.
Chi ha puntato l’attenzione sulla rigidità negoziale italiana ha inevitabilmente alleggerito il ruolo di Herman van Rompuy nella gestione del negoziato: in effetti il fallimento della riunione dei capi di Stato e di Governo lo chiama in causa personalmente, ma si sa che il ‘tiro al piccione’ è un gioco facilissimo e praticatissimo nei ‘palazzi’ di Bruxelles per spostare sempre su altri la responsabilità.