Invece di rassicurare suscita molti timori la semplice parola 'exit strategy', strategia di uscita dalla fase in cui gli stati hanno riempito di liquidità i mercati, ripreso per un filo le banche al tracollo, elargito garanzie a valanga, aiuti a settori produttivi, ai gruppi sociali più colpiti dalla crisi. Le banche centrali cominciano a testare i mercati tagliando il volume delle operazioni di finanziamento in dollari, mossa da alcuni letta come l'avvio di una gradualissima 'exit strategy". Mercoledì 23 settembre, però, Wall Street aveva tremato nella convinzione che la Federal Reserve fosse vicina alla ritirata.
Quanto ai bilanci pubblici dei paesi industrializzati ed europei, il minimo che si può dire è che la crisi comporta un vero salasso. Ovvio che sia così e per fortuna gli stati sono intervenuti a sostegno dell'economia (chi più chi meno, l'Italia meno di quasi tutti gli altri paesi). Pensando al dopo, nell'eventualità di una ripresa moderata, l'anno prossimo nella Ue il rapporto debito/pil salirà al 100%, l'anno scorso era al 62%. Per tutte le economie avanzate tra il 2008 e il 2014, a bocce ferme cioè senza correzioni, il debito/pil è stimato passare dal 75% al 115%, oltre il 90% nei paesi del G7 Canada escluso (dati Fmi).
La dimensione del problema viene ritenuta dal Fondo monetario internazionale "senza precedenti", è la prima volta che le economie avanzate devono condurre in porto un aggiustamento di bilancio di ampie proporzioni contemporaneamente. Non vale neppure il riferimento alla crisi del 1929. Allora certamente aumentò il debito pubblico solo che partiva da livelli molto più bassi. Alla fine degli anni Venti il debito/pil Usa era a quota 16%, oggi supera l'80% (durante la seconda guerra mondiale scattò brevemente al 120%).
Che fare? Per il momento niente di concreto perché la ripresa è fragilissima, si temono colpi di coda e con il ritorno della disoccupazione di massa non si scherza. Prima di agire, però, occorre decidere in attesa di lasciarsi definitivamente alle spalle la recessione. Decidere e comunicarlo alle opinioni pubbliche e ai mercati. Questo va fatto subito.
Alcune cose sono chiare, tutte spiacevoli. La prima l'ha sintetizzata così la Commissione europea in un documento riservato: "I deficit di bilancio sono largamente strutturali e non torneranno ai livelli pre-crisi durante la fiacca ripresa". Ed ecco la seconda cosa chiara come viene vista dal Fmi: l'aumento di deficit e debito avviene proprio quando i governi stavano preparandosi (o avrebbero dovuto prepararsi) a fronteggiare lo choc demografico. Ora, senza aggiustamenti nella migliore delle ipotesi ciò provocherà tassi di interesse reali più alti man mano che la ripresa andrà avanti. Nella peggiore potranno nutrirsi aspettative che in qualche paese il 'default' sia inevitabile o che si possa scegliere la via dell'inflazione. Se così accadesse le scadenze dei titoli pubblici si accorcerebbero, i premi di rischio aumenterebbero, "potrebbero emergere problemi di rifinanziamento".
Secondo la Commissione europea i governi devono preparare adesso progetti di riduzione dell'indebitamento convincenti, dettagliati sapendo che non basterà tagliare la spesa pubblica, ma che in linea generale dovranno essere inclusi aumenti della tassazione (facendo attenzione a non colpire il lavoro e gli investimenti, puntando invece, per esempio, sulle eco-tasse). Non basta ritirare le misure anti-crisi come non basta affidarsi alle entrate che deriveranno dalla maggiore crescita. Il Fondo monetario è sulla stessa linea: "Sarà necessario ridurre il deficit/pil, aumentare le imposte, riformare pensioni e sanità". Questa è la regola generale per i paesi avanzati con un accorgimento, secondo lo staff Fmi: "Nei paesi che già hanno un rapporto elevato entrate/pil, la parte più ampia dell'aggiustamento dovrà essere condotto dal lato della spesa" (secondo Eurostat nel 2007 l'Italia si trovava insieme con la Francia al quarto posto nella lista dei paesi a più alto rapporto entrate/pil con il 43,3%). ondizione primaria perché le 'exit strategy' funzionino è che siano concordate. Anche l'aumento delle imposte, indica il Fmi, va discusso con i paesi vicini. In passato non è mai successo, specie quando le imposte calavano.
Se questo è lo scenario si capisce l'enfasi tedesca (l'idea originaria è della Spd ma ha ricevuto l'appoggio della cancelliera Merkel) sull'idea di tassare tutte le transazioni finanziarie nell'area G20 (97% del totale degli scambi di Borsa, 94% degli scambi di bond) di 0,05%. Una tassa globale del valore di 690 miliardi di dollari l'anno, pari all'1,4% del pil mondiale, il prezzo che la finanza dovrebbe pagare per compensare i costi economici a carico della collettività per fronteggiare la crisi. Sapendo che cosa frulla nei loro bilanci, la tassa piace anche a Brown e Sarkozy.