La crisi finanziaria era nata negli Stati Uniti e due anni fa in Europa si levarono voci preoccupate sicuramente, ma anche quasi soddisfatte. Si diceva, specie in Germania: vedete dove porta il capitalismo sfrenato e irresponsabile? Era la vendetta contro le locuste dell’economia. Poi rapidamente la crisi dei subprime ha scaricato il suo veleno sull’Europa. O, meglio, si è scoperto che molte banche europee (pure quelle tedesche) avevano giocato troppo con la finanza d’avventura, via via le perdite bancarie nel Vecchio Continente si sono accumulate, è stato il momento delle nazionalizzazioni spinte per salvare risparmi e stabilità sociale, non solo l’economia. Ora il centro della crisi è tutto europeo, anzi, dell’Eurozona. Riguarda la Grecia per ciò che è della Grecia in primo luogo, ma riguarda anche gli altri governi (nessuno escluso) che della Grecia sapevano tutto o quasi o avrebbe dovuto sapere. In tutti questi mesi non abbiamo sentito molte autocritiche in questo senso. Solo una volta, il lussemburghese Juncker che guida l’Eurogruppo ha confessato di aver sbagliato, lui come i suoi colleghi, ad aver bocciato qualche anno fa la proposta della Commissione europea di affidare a Eurostat forti poteri ispettivi sui conti elaborati dagli istituti nazionali di statistica. Con quei poteri, il bubbone dei trucchi greci sarebbe scoppiato molto prima e sarebbe stato di minore intensità.
Che il G7 si occupi della Grecia, come hanno fatto i ministri finanziari via telefono, è bene, vuol dire che nessuno va da solo per la propria strada. Ma vuol dire anche che la crisi è molto seria, i rischi grandi e in grado di coinvolgere un’area molto più vasta dei sedici paesi dell’unione monetaria.