“Il pericolo è fare troppo poco, non fare un pochino di più”. In questa affermazione del premier Mario Draghi è racchiuso il dilemma dei governi europei: mentre gli Stati Uniti stanno quasi raddoppiando la dimensione delle sforzo fiscale a sostegno della crescita dell’economia, passando dal sostegno ai redditi degli americani a una nuova forte spinta agli investimenti, nell’Unione europea viene solo confermato che l’espansione di bilancio continuerà anche nel 2022 (non si sa con precisione in quale misura) e che l’operazione Next Generation EU da 750 miliardi raccolti sul mercato con obbligazioni comuni resta quella che è. Peraltro, l’operazione non è ancora partita: la prima ondata di esborsi pari al 13% del totale fra prestiti e sovvenzioni agli Stati (87,4 miliardi su 672,5 miliardi a prezzi 2018) è attesa per l’inizio dell’estate. L’impatto di Next Generation EU sull’economia reale sarà avvertito solo nel 2022 e più ancora nel 2023. È un’operazione giustamente considerata un’autentica svolta politica messa in piedi in tempi rapidi per lo standard europeo, quattro mesi, che però per concretizzarsi richiede circa un anno, tre volte il tempo che è stato necessario per deciderla. Una discussione sul possibile potenziamento dell’armamentario europeo per stabilizzare le economie a breve ancora non c’è, ma qui e là cominciano a levarsi voci in tal senso. Tuttavia al momento non ci sono segnali che possa esserci una sterzata: non è un caso che l’Eurogruppo faccia quadrato sulla necessità che i bilanci pubblici nazionali continuino a sostenere l’economia a lungo.
Il fatto che in Germania l’approvazione dello strumento cardine per lanciare le emissioni di obbligazioni comuni di Next Generation EU abbia subito un arresto inaspettato, fa capire quanto il percorso di questa operazione, pure riconosciuta anche nella stessa Germania importante, sia tortuoso. La Corte costituzionale tedesca ha sospeso la ratifica dell’aumento delle risorse proprie del bilancio Ue che costituisce la garanzia all’emissione dei bond comuni anticrisi. Motivo: il ricorso da parte di oltre duemila cittadini del movimento di destra Alleanza dei cittadini volonterosi, che contestano Next Generation EU perché fondato sulla condivisione del debito con altri Stati. Si ripropone uno scenario già visto l’anno scorso quando vennero contestati sempre di fronte alla Corte di Karlsruhe gli acquisti di titoli pubblici da parte della Bce.
Draghi è perfettamente consapevole delle difficoltà eminentemente politiche e non solo economiche dei prossimi mesi. Non a caso ha indicato che il fatto di essere personalmente a favore dell’emissione di debito comune come strumento permanente a sostegno di un bilancio per la stabilizzazione dell’economia non significhi molto, dal momento che è necessario un consenso di tutti i governi. Ha raffreddato gli entusiasti ricordando che si tratta di “un obiettivo un po’ lontano, che però è meglio ribadire perché ci sono cose che rispondono a tanti problemi, invece ci si ingegna a non dare la risposta giusta che richiede uno sforzo politico imponente e si danno (invece) risposte non rilevanti, marginali cosicchè ci si deve aspettare un risultato marginale”, ha detto il premier. Sintesi chiara delle incompiutezze dell’Unione europea.
Quanto al confronto Usa-Ue, un recente conteggio del capoeconomista di UniCredit Erik Nielsen indica che nel 2021 lo stimolo fiscale federale negli Usa è pari a circa l’11% del pil al quale va aggiunto l’1% del pil per stabilizzatori automatici (spese in più che automaticamente si verificano in conseguenza del calo del prodotto). Per la zona euro, mettendo insieme lo sforzo di bilancio degli Stati, la quota di Next Generation EU e gli stabilizzatori automatici si arriva complessivamente al 6% del pil (in realtà un po’ di più tenendo conto della spesa tenendo conto che per tutta la Ue i finanziamenti annuali del bilancio Ue si aggirano su circa 140 miliardi).
Draghi ha indicato che non è in corso una discussione tra i governi per rafforzare la manovra europea anticrisi. Non ci sono le condizioni politiche perché ciò avvenga e non è chiaro il quadro economico: può migliorare, però può anche peggiorare. Lo sforzo attuale è attuare quanto concordato finora. Solo che dare una prospettiva politica all’azione di politica economica e fiscale di taglia europea contribuirebbe a costruire un’aspettativa di fiducia importante per imprese, famiglie e anche mercati. Il successo dei bond comuni per finanziare le casse integrazioni, per i quali la domanda di sottoscrittori è mediamente dieci volte il valore dei titoli offerti, mostra le potenzialità di un “safe asset” comune europeo (strumento finanziario comune).
A maggio-giugno è attesa la chiarificazione sul 2022: si deciderà se le regole del patto di stabilità resteranno in frigorifero oltre quest’anno o meno. Probabilmente sì: potrebbe essere questo l’accordo per non riaprire una discussione sul potenziamento di Next Generation EU. Per la riforma del patto di stabilità il confronto è invece rinviato a fine anno, quando la ripresa economica avrà “preso piede”, come hanno indicato i commissari Gentiloni e Dombrovkis. La Commissione dovrebbe avanzare una proposta in autunno. La riforma del “patto” per aprire spazi di manovra per gli investimenti (nell’economia digitale e “verde”) riaprirà un confronto difficile perché riemergeranno le classiche posizioni Nord contro Sud, ma anche Est contro Ovest (e Sud). L’accordo su Next Generation EU le ha solo sopite.
Il negoziato tra i governi richiederà mesi, ma nulla si muoverà fino alle elezioni legislative in Germania il 26 settembre. E comunque per comporre la coalizione e definire il programma che sosterrà il futuro governo federale occorreranno mesi (ne sono occorsi oltre quattro per dar vita al quarto governo Merkel, quasi tre per il terzo). Tempi lunghi, quindi. C’è una spinta francese e italiana a definire una linea comune: in qualche modo si cerca di giocare d’anticipo nel tramonto dell’era Merkel. La Répubblique en Marche di Macron ha proposto di trasformare il patto di stabilità in “patto di sostenibilità per tenere conto degli investimenti da realizzare nel quadro delle priorità Ue in particolare dell’urgenza ecologica”. Da tempo l’Italia è su questa linea. Il neosegretario del Pd Letta l’ha rilanciata. All’Eurogruppo, c’è accordo solo sul fatto che le regole di bilancio devono essere cambiate, non sugli obiettivi e neppure sulle modalità.