Dijsselbloem ubiquo, consigliere di se stesso all’Esm

 

Da un lato c’è una ragione economica, in termini di remunerazione, che riguarda il quasi ex ministro delle finanze olandesi Jeroen Dijsselbloem. Insieme a una prospettiva di lavoro futuro. Da un altro lato c’è un problema politico dell’Eurogruppo. Dal terzo lato (più corto degli altri lati) l’interesse dell’Esm di avvalersi di una ‘expertise’ di tutto rilievo, tra politica e finanza. E’ davvero un ‘triangolo anomalo’ quello composto dai ministri finanziari della zona euro, concordato dopo l’ultima riunione a Lussemburgo. Il risultato è che nei prossimi tre mesi Dijsselbloem sarà il consigliere di se stesso: in quanto presidente dell’Eurogruppo presiede il board dell’European Stability Mechanism (il fondo salva-Stati), il quale ha la responsabilità ‘politica’ delle scelte del management che a sua volta si avvale della consulenza “esterna” dello stesso Dijsselbloem.

La situazione è davvero complicata e inusuale. Quasi un pasticcio. Possono esserci motivi di conflitto di interesse anche se all’Esm assicurano che dal punto di vista legale non ci sono controindicazioni. Il presidente del board Esm, organizza e guida le riunioni dei governatori, che sono i ministri finanziari della zona euro in rappresentanza degli Stati ‘azionisti’. L’Esm è il braccio finanziario dei governi dell’unione monetaria per gestire i salvataggi degli Stati ed è nato con un trattato intergovernativo. I ‘governatori’ si riuniscono almeno una volta all’anno, ma accade spesso che si riuniscano per prendere decisioni importanti e urgenti come è stato il caso della gestione del salvataggio della Grecia. Oggi i tempi sono più tranquilli.

Il motivo della situazione anomala è presto spiegato. Il mandato di presidente dell’Eurogruppo scade a gennaio 2018 e Dijsselbloem, alla guida dei ministri finanziari per due mandati, ha perso il posto di ministro. Il partito laburista di cui fa parte si è ridotto ai minimi termini alle ultime elezioni (più di duecento giorni fa) e a breve giurerà il nuovo governo quadripartito, premier sempre Mark Rutte, fondato sull’alleanza Vvd-D66-Partito cristiano democratico-Unione cristiana. Da una coalizione destra-socialdemocratici si passa a una coalizione spostata a destra. Per inciso il vero numero 2 della Commissione europea Frans Timmermans è laburista, del Partito del lavoro olandese, lo stesso di Dijsselbloem.

In tempi normali la soluzione sarebbe stata questa: via dal ministero delle finanze via anche dall’Eurogruppo. Fine della carriera. Ma questi non sono tempi normali dal punto di vista istituzionale per almeno due ragioni. La prima è che la presidenza dell’Eurogruppo è una delle cariche fondamentali del quadro europeo: fa parte della scacchiera che conta. La seconda è che è aperto il cantiere della riforma politica-istituzionale dell’unione monetaria il cui fulcro è proprio l’Eurogruppo. Quadro incerto, dunque.

Le cariche fondamentali della Ue sono sei: presidente della Commissione, del Consiglio Ue, della Bce, dell’Eurogruppo, del Parlamento, infine l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. L’intensità dei poteri è diversa. Intanto va tolta dal mazzo la presidenza Bce perché la banca centrale europea è il solo organismo effettivamente federale della Ue, con grande potere a sua volta condiviso tra le banche centrali nazionali. E poi è indipendente dai poteri politici. Per quanto riguarda la Commissione, è l’elemento propulsivo della legislazione e della regolazione, oltrechè guardiana del Trattato Ue, ma la Commissione nulla può se le sue proposte legislative non passano da Consiglio e Parlamento. Sull’Antitrust ha un potere enorme e trova il suo limite solo nelle sentenze della Corte di Giustizia. Il presidente Ue organizza in parte il lavoro degli Stati ai vertici, media, ma lo scettro resta nelle mani degli Stati membri. Il presidente del Parlamento ha una funzione istituzionale importante, è un punto di riferimento, di impulso politico, però chi conta nel lavoro parlamentare sono i gruppi politici. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza è una specie di ‘ministro’ che lavora però su mandato dei ministri veri. In prospettiva potrà essere diverso ma per ora è così. Infine c’è il presidente dell’Eurogruppo: è un ministro in carica che coordina il lavoro dei ‘19’. Funzione delicata e rilevante perché è il grande mediatore e cercatore di soluzioni nei momenti di crisi, nelle controversie più delicate (dai salvataggi finanziari alle decisioni sui bilanci pubblici alle questioni bancarie). Inoltre rappresenta l’Eurozona nel mondo e, in parte, di fronte ai mercati. La sua non è una funzione notarile.

Tutti questi posti sono oggetto di compromesso, bilanciamento complicato tra interessi di rappresentanza degli Stati (nord-sud, est-ovest, piccoli e grandi) e delle famiglie politiche. Oggi la situazione è questa: il partito popolare ‘occupa’ tre cariche: Commissione con Juncker (lussemburghese), Consiglio con Tusk (polacco) e Parlamento con Tajani (italiano). All’Eurogruppo c’è Dijsselbloem, olandese e socialista. Alta rappresentante per la politica estera è l’italiana Mogherini, del Pd (dunque fa capo al partito socialista europeo). I liberali non hanno nulla. Draghi è italiano e, come è noto, i banchieri centrali non sono scelti in base alle loro (ignote) preferenze politiche. Scendendo nelle gerarchie, altre nomine da decidere saranno nel 2019 la presidenza della supervisione bancaria Bce (attualmente la francese Nouy) nel 2018 il numero 2 della Bce (attualmente il portoghese Costancio), entrambe funzioni chiave di rilievo. Per essere completi, l’italiano Enria presiede con un secondo mandato l’Autorità bancaria europea: scade nel 2021.

Questa lunga spiegazione ha un’ovvia conclusione: per riempire la casella dell’Eurogruppo occorre sapere che succede nelle altre, in particolare una, la presidenza della Bce. Draghi, infatti, scade il primo novembre 2019. Non solo. Nella primavera 2019 finirà la legislatura europea e ci saranno nuove elezioni, nella seconda metà del 2019 ci sarà una nuova Commissione. Cambierà molto. Trovare un punto di mediazione “prospettica” adesso è dunque molto difficile. Intanto, il ministro Padoan ha rivendicato la carica di presidente dell’Eurogruppo alla ‘famiglia’ socialista. Ma la famiglia socialista conta adesso 8 ‘voci’ in seno all’Eurogruppo e una, quella austriaca, sta probabilmente per perderla. Non a caso Padoan ha indicato dopo l’ultima riunione con i colleghi ministri socialisti a Lussemburgo che la questione della nuova presidenza dell’Eurogruppo è materia di cui si occupa direttamente anche il gruppo parlamentare Ue socialista, che attualmente nell’Europarlamento ha molta influenza.

Questa lunga spiegazione ha un’ovvia conclusione: per riempire la casella dell’Eurogruppo occorre sapere che succede nelle altre, in particolare una, la presidenza della Bce. Draghi, infatti, scade il primo novembre 2019. Non solo. Nella primavera 2019 finirà la legislatura europea e ci saranno nuove elezioni, nella seconda metà del 2019 ci sarà una nuova Commissione. Cambierà molto. Trovare un punto di mediazione “prospettica” adesso è dunque molto difficile. Intanto, il ministro Padoan ha rivendicato la carica di presidente dell’Eurogruppo alla ‘famiglia’ socialista. Ma la famiglia socialista conta adesso 8 ‘voci’ in seno all’Eurogruppo e una, quella austriaca, sta probabilmente per perderla. Non a caso Padoan ha indicato dopo l’ultima riunione con i colleghi ministri socialisti a Lussemburgo che la questione della nuova presidenza dell’Eurogruppo è materia di cui si occupa direttamente anche il gruppo parlamentare Ue socialista, che attualmente nell’Europarlamento ha molta influenza.

La questione della successione di Draghi sarà uno degli scogli da superare: se dovesse essere un tedesco (Jens Weidmann, oggi presidente Bundesbank) – e Berlino lo vorrebbe – tedesco non potrà essere il presidente Eurogruppo. Infatti, a quel posto punta il ministro delle finanze francesi Le Maire (uomo di centro/centro destra essendo passato da Ump-Republicaines alle file di Macron). Nella visione del patto franco-tedesco il conto torna perfettamente. Basta questo per congelare le decisioni sull’Eurogruppo per qualche tempo.

I papabili per il posto di Dijsselbloem non sono poi tanti: lo spagnolo de Guindos (Ppe) si sarebbe chiamato fuori, deve gestire ben altri affari interni (Catalogna). Chi ci punta è lo slovacco Peter Kazimir, socialista. Ma è un socialista ‘falco’, rigorista sui bilanci pubblici come Wolfgang Schaeuble se non di più. Pensa che la Commissione abbia esagerato sulla flessibilità. Difficile trovare un consenso nella ‘famiglia’ socialista su di lui. Chi ha le carte più che in regola è Pier Carlo Padoan, tecnico e politico insieme. La controindicazione è che per un anno coinciderebbe con Draghi presidente della Bce. Ma resterà la condizione che il presidente dell’Eurogruppo deve essere un ministro in carica? Ecco uno dei punti aperti. Il Trattato Ue non esclude che possa essere un ministro non in carica. E’ scritto nel protocollo 14: “I ministri degli Stati membri la cui moneta è l’euro eleggono un presidente per un periodo di due anni e mezzo, a maggioranza di tali Stati membri”. Finora è stato un ministro in carica. Ma ora c’è il precedente Dijsselbloem. Padoan potrebbe assumere l’incarico essendo in carica e tenerlo anche dopo. E non per tre mesi.

C’è anche dell’altro: l’avvicendamento all’Eurogruppo avviene nel momento in cui sono già partite le grandi manovre per definire la riforma della ‘governance’ economica di cui l’Eurogruppo è il fulcro politico. Non si sa se e come cambierà il ruolo del presidente, se sarà permanente o meno, se sarà contemporaneamente commissario europeo agli affari economici. Una specie di superministro delle finanze, permanente. Sul tavolo di sono grandi progetti, a partire da quello di Macron, il più ‘ingegneristico’ e completo. Poi c’è quello della Commissione e ce n’è uno anche italiano. Si arriva fino al bilancio della zona euro, a un parlamento Eurozona da ricavare dal parlamento Ue. Però la questione del ministro delle finanze della zona euro dovrebbe arrivare solo alla fine del processo: “Per me è l’ultimo problema perché presuppone che abbiamo regolato tutto il resto”, dice Le Maire. Mentre la cancelliera Angela Merkel ogni tre giorni chiede: “Che compiti dovrebbe avere il ministro unico delle finanze?”. Da queste parole si capisce che il percorso è a ostacoli.

Ecco perché i ministri finanziari della zona euro hanno preso tempo. L’incertezza riguarda non tanto i possibili candidati quanto le loro funzioni. Fra tre mesi, dato che sulle nuove funzioni non potrà essere trovato un accordo, si ragionerà solo sui candidati. E se il presidente dell’Eurogruppo fosse tedesco? Fantapolitica secondo quasi tutti. Tanto più se Berlino riuscisse a ‘vincere’ la partita della Bce. Però una scelta del genere, cioè un presidente tedesco dell’Eurogruppo, potrebbe anche dare una rimescolata alle carte. Dato che dal via libera di Berlino sempre bisogna passare per tutto, tanto vale attribuire a un ministro (o a un ex ministro) tedesco la presidenza dell’Eurogruppo in modo che sarà costretto a parlare e ad agire non solo in quanto tedesco ma anche, direttamente, in qualità di “ministro” di tutti, con i ‘checks and balances’, i pesi e i contrappesi politico-istituzionali del caso. Forse è anche per questo che a Berlino pensano sia meglio piazzare Weidmann alla Bce.