Commissione europea e Fondo monetario internazionale si ritrovano sulla stessa linea e negli ultimi giorni hanno lanciato lo stesso messaggio all’amministrazione Trump: non è il momento di ridurre l’attenzione alla regolazione finanziaria e alla cooperazione internazionale, di deregolamentare. “Abbiamo delle preoccupazioni in seguito all’annuncio della revisione delle regole Usa ed è per questo che stiamo inviando messaggi agli Stati Uniti sulla necessità di proseguire nella cooperazione”, ha indicato il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis (responsabile dei mercati finanziari e dell’euro). E il capoeconomista Fmi Maurice Obstfeld ha detto che “se la crescita economica appare in via di rafforzamento nelle grandi economie, non significa che la regolazione del settore finanziario possa essere rilassata, al contrario: resta più necessaria che mai”.
In linea con quanto espresso nelle scorse settimane dal presidente Bce Mario Draghi, il ragionamento della Commissione europea è questo: tornare indietro rispetto ai livelli attuali di regolazione finanziaria e bancaria metterebbe a rischio la stabilità raggiunta dai momenti più drammatici della crisi. Non solo: potrebbe scatenare una corsa pericolosa tra paesi ad allentare sempre di più le regole. E se si aggiungono una corsa al ribasso delle aliquote fiscali, sia a livello globale sia all’interno del continente europeo in seguito a Brexit, e lo scatto americano al ridimensionamento del multilateralismo commerciale, lo scenario complessivo potrebbe peggiorare davvero rapidamente.
“Diciamo sempre che è necessario continuare la cooperazione nella ‘governance’ finanziaria e sugli standard globali, quando vediamo segnali che vanno nella direzione opposta ci preoccupiamo e molto: vedremo i risultati del Dodd-Frank Act e i passi concreti che gli Usa prenderanno”, dice Dombrovskis. Il Dodd-Frank è la stretta e completa regolazione della finanza statunitense voluta da Obama.
Il capoeconomista del Fondo monetario Obstfeld (con un articolo pubblicato con Tobias Adrian, sempre del Fmi) ricorda che le banche americane vennero ricapitalizzate e ristrutturate “più aggressivamente dopo la crisi” recuperando terreno più velocemente rispetto a chi non aveva fatto così. Ma “un sistema finanziario globale sicuro richiede più che regole strette sui bilanci delle banche”, richiede standard condivisi per gestire i fallimenti delle grandi banche, evitare assunzioni di rischio eccessive, il “sovvertimento della disciplina di mercato”.
E’ vero che imporre alle banche più requisiti di capitale e di liquidità “può aumentare i costi del credito per famiglie e imprese, ridurre la liquidità del mercato, ma finora gli studi effettuati indicano che gli effetti avversi sono relativamente limitati mentre i benefici per la sicurezza del sistema finanziario indiscutibilmente grandi”. E quanto all’impaccio per il business derivato dalla complessità della regolazione americana (ne aveva parlato lo stesso Trump a proposito del Dodd-Frank Act, più di mille pagine con l’aggiunta di altre migliaia di pagine con le regole di applicazione), Obstfeld dice che c’è certamente spazio per semplificare. Per esempio, la soglia per definire le banche sistemiche sottoposte a standard più stretti può diventare flessibile (attualmente è fissata a un bilancio di 50 miliardi di dollari). Così come possono essere semplificati gli stress test o le regole per le ‘community banks’ (locali).
Però le regole ‘core’ del regime di regolazione Usa deve essere preservato. Insomma, occorre contrastare decisamente il paradosso per cui la capacità di reazione dei mercati finanziari americani e globali negli ultimi anni, dovuta anche ai muri eretti dalle autorità di regolazione e supervisione secondo standard condivisi a livello internazionale, ora verrebbe considerata addirittura un fattore negativo per la crescita.