I costi a carico delle banche europee per far fronte alle conseguenze legali e alle multe per le violazioni di cui ci sono rese responsabili negli anni della crisi hanno avuto un impatto “notevole” sui profitti. Non solo. Nonostante un ampio di numero di casi chiusi e già regolati, “i costi attesi per la condotta scorretta del passato restano notevoli”. E’ questa la conclusione della Bce che, nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, pubblica un capitolo interessante che getta luce su un aspetto poco indagato della ‘questione bancaria’ e sulle implicazioni finanziarie dei costi legali dovuti alla condotta tenuta negli anni in cui i banchieri facevano e disfacevano a loro piacimento. Non è un problema solo americano, ma anche europeo, che riguarda per più della metà dei capitali coinvolti il Regno Unito, per meno di un terzo le banche della zona euro, per un sesto le banche svizzere.
Anche questa è una eredità del passato. Diversa da quella di cui parla sempre il ministro delle finanze tedesche Wolfgang Schaeuble, che si riferisce alle sofferenze (non performing loans), a modelli di business ancora troppo ancorati alle pratiche del passato. Tuttavia è una eredità pesante, secondo il giudizio della Bce. Tanto più nel momento in cui il sistema bancario deve passare a una fase nuova, a modelli di business più coerenti con il ‘core business”, più sicuri. E’ un processo che richiede tempo, e tempo richiede anche la gestione delle sofferenze, una delle principali palle al piede del sistema bancario europeo, soprattutto in certi paesi (Italia in primo luogo).
I dati pubblicati dalla Bce sono molto interessanti. Sotto analisi 26 banche globali stabilite negli Usa, nella zona euro e in Svizzera, di cui 22 sono “importanti dal punto di vista sistemico”, quattro non lo sono: otto i gruppi americani (Bank of America, BNY Mellon, Citigroup, Goldman Sachs, JPMorgan, Morgan Stanley, State Street e Wells Fargo); del campione europeo fanno parte due istituti svizzeri (Credit Suisse e UBS), cinque britannici (Barclays, HSBC, Lloyds Banking Group, Royal Bank of Scotland e Standard Chartered), undici delle zona euro (BNP Paribas, Commerzbank, Crédit Agricole, Deutsche Bank, ING, Intesa Sanpaolo, Groupe BPCE, Rabobank, Santander, Société Générale e UniCredit).
I costi legali globali emersi dal 2008 hanno raggiunto 275 miliardi di dollari (una stima errata per difetto data l’assenza di dati granulari pubblicamente accessibili e un certo numero di accordi regolati privatamente con parti civili). Oltre metà di tali costi è emersa fra il 2009 e il 2014, più della metà, cioè oltre 140 miliardi, è emersa nel biennio 2013-2014. Tale andamento riflette il peso predominante delle banche americane, che hanno dovuto fronteggiare costi legali prima e in misura molto più grande rispetto alle banche europee. Dal 2008, infatti, le banche Usa contano per quasi due terzi del totale
Nel 2015, per la prima volta le banche europee hanno sostenuto più costi legali delle concorrenti statunitensi, in un contesto in cui si è verificato un calo marcato dei costi legali complessivi per le banche globali. Dei 275 miliardi di dollari di costi legali, 180 miliardi sono stati sostenuti dalle banche Usa (65,5%), il 57,5% dei restanti 95 miliardi è attribuibile alle banche britanniche, il 27,5% a quelle della zona euro, il 15% a quelle svizzere.
Il grosso dei costi legali si riferisce agli accordi di risarcimento dei consumatori (53%) e alle multe (28%). Il 19% riguarda accordi con singole controparti, sia private che istituzionali. La “cattiva condotta” delle banche americane riguarda principalmente le speculazioni sui subprime: emissioni, struttura, vendita di titoli complessi legati ai prestiti immobiliari. I costi legali fronteggiati da quelle europee riguardano le pratiche scorrette e le manipolazioni di mercato: vendita abusiva di assicurazioni (nel Regno Unito), gli scandali sugli indici di riferimento del mercato Libor/Euribor. Il resto riguarda il mancato rispetto dei requisiti anti-riciclaggio e il coinvolgimento e/o assistenza in casi di evasione fiscale, “particolarmente rilevante per le banche della zona euro”.
Quanto all’impatto sui profitti delle banche, la Bce indica che dall’inizio della crisi le banche europee hanno messo da parte 160 miliardi di dollari per coprire i costi legali attesi. Si tratta di una cifra che rappresenta quasi metà del reddito netto delle banche europee tra il 2008 e il 2015. In altre parole, è scritto nel rapporto sulla stabilità finanziaria, “il reddito netto delle banche potrebbe essere stato più alto nella misura di un terzo in quel periodo se non ci fossero stati questi costi legali, si tratta di fondi che avrebbero potuto essere usati per rafforzare i ‘cuscinetti’ di capitale nella forma di utili non distribuiti”.
Lo stock degli accantonamenti per i costi legali sono aumentati in rapporto al capitale proprio raggiugendo il 3,5% del capitale totale a fine 2015. La situazione varia molto da banca a banca: si va da un minimo di 0,5% a un massimo di 12%.
Quanto al futuro, la Bce non si sbilancia sulle previsioni. “Le stime sono circondate da un ampio grado di incertezza”, indica lo studio della banca centrale”. Le cifre elaborate dall’International Financial Reporting Standards mostrano che alla fine del 2015 le banche europee si aspettavano di dover far fronte in futuro a costi legali per 50 miliardi di dollari, quasi metà accantonati nel Regno Unito, in particolare per la ‘cattiva condotta’ nelle assicurazioni sui crediti. “L’andamento sottostante dello stock delle riserve indica che il picco (negativo – ndr) non è stato ancora raggiunto per molte banche britanniche e della zona euro e ciò può indicare a sua volta l’esistenza di ulteriori pressioni sulla loro profittabilità e sulla capacità di accumulazione interna di capitale future”.