Chi sarà il nuovo presidente dell’Eurogruppo? Il mandato di Jeroen Dijsselbloem scade a fine giugno, tra una crisi e l’altra i suoi due anni e mezzo sono passati, e ora ci si chiede se il ministro olandese guadagnerà il raddoppio oppure se alla guida del gruppo (informale) dei ministri finanziari della zona euro arriverà il responsabile delle finanze spagnole Luis De Guindos, sempre attivissimo negli ultimi tempi a mettersi in mostra. Obiettivo: convincere i grandi azionisti, il tedesco Wolfgang Schaeuble innanzitutto, che è lui stesso l’uomo giusto al posto giusto. In realtà i giochi non sono fatti, anzi, dire che si sono davvero aperti è spararla grossa. In queste settimane l’emergenza è la Grecia, ma certamente è anche (forse soprattutto) sulla base di quanto accadrà al negoziato con Atene che sarà presa una decisione. La cosa certa è che la figuraccia fatta da Dijsselbloem nel 2013, quando affermò di considerare il salvataggio di Cipro un modello per la gestione dei rischi di bancarotta bancari e due giorni dopo sostenne l’esatto contrario, è stata dimenticata. Oggi un secondo mandato a Dijsselbloem, proprio per il modo in cui il ministro ha gestito in prima persona il negoziato con la Grecia, intervenendo direttamente ai massimi livelli politici europei, appare a molti la soluzione più naturale.
Dijsselbloem avrebbe dalla sua l’opinione favorevole del governo tedesco. Le scivolate all’inizio del suo mandato sono state abbondantemente perdonate. Su Cipro si giocò quasi subito la credibilità personale, con la storia dell’autosmentita e con qualche dichiarazione incauta che aveva fatto increspare i mercati. Acqua passata. Si è guadagnato sul campo i galloni di duro negoziatore, sempre spostato su posizioni di rigore, per sintetizzare diciamo filotedesche, ma con quel tanto di ecumenismo che gli ha permesso di non rinunciare all’ispirazione socialdemocratica (il partito del lavoro olandese di cui fa parte è membro del partito socialista europeo). Da tempo piace ad Angela Merkel. Si racconta che a un recente vertice europeo dei capi di stato e di governo ha fatto un figurone relazionando sulle trattative con la Grecia.
Se l’accordo con Tsipras andrà in porto – e nei piani alti delle istituzioni europee giurano che andrà in porto – Dijsselbloem si è assicurato la cinquina (il mandato di presidente dell’Eurogruppo dura due anni e mezzo). E se il negoziato con la Grecia va male? Sarà un buon motivo per pilotare una fase difficilissima, perché i governi dell’Eurozona e la Bce troveranno il modo di evitare un cataclisma (Grexit). A quel punto non converrà a maggior ragione cambiare caposcout.
Dell’ipotesi De Guindos si parla da molti mesi. In effetti la sua candidatura (alcuni parlano di “autocandidatura”) è stata accarezzata nella famiglia e in alcuni governi popolari (anche in Germania, dunque). Motivo: è la dimostrazione che un paese salvato dall’Eurozona con i prestiti per ristrutturare le banche poteva farcela e ce l’ha fatta. Ora ne coglie i frutti, almeno dal punto di vista della stabilità finanziaria e macroeconomica. Un modello per quei reprobi di greci. Ultimamente De Guindos si è messo alla testa della ‘rivolta’ dell’Eurogruppo contro la pretesa di Tsipras di far finta che gli accordi con i creditori quasi non esistessero. Con tre obiettivi: difendere legittimamente le politiche di rigore perseguite in Spagna sotto il controllo dei creditori, evitare che un regalo ai greci irrobustisse l’opposizione sociale e politica interna, accreditarsi con un ‘puro e duro’ rigorista su scala Eurozona.
Si racconta che l’atteggiamento tedesco sulla presidenza dell’Eurogruppo sia più o meno questo: nulla contro De Guindos, ottimo ministro, ha le carte in regola, ma si trovi lui il consenso di cui ha bisogno. Se le cose stanno così, non è davvero molto. Per la Germania, in ogni caso, sarebbe una situazione “win-win”: sostanzialmente, l’uno o l’altro pari sono dal punto di vista della strategia da perseguire.
Casomai si apre un problema tutto spagnolo, in caso De Guindos non ce la faccia: attualmente la presenza della Spagna ai vertici delle istituzioni europee (e globali) è nulla. A causa del sistema di rotazione alla Bce, dalla fine del 2012 non c’è più uno spagnolo nel comitato esecutivo della Bce (l’ultimo è stato Jose Paramo). Gioca senz’altro a sfavore di De Guindos il fatto che dopo le elezioni politiche di autunno potrebbe trovarsi disoccupato (come ministro delle finanze). Il risultato del voto è totalmente incerto, con il partito popolare che a fatica arriva al 20% dei consensi nei sondaggi, due punti percentuali sotto Podemos.
Naturalmente, fa notare qualcuno, è sempre possibile una soluzione alternativa ai due, ma non è ancora emerso un nome possibile. Vari mesi fa, quando erano in ballo le nomine dei massimi vertici europei e l’Italia giocava la carta di Federica Mogherini a ‘ministra’ degli esteri Ue, si era fatto il nome di Pier Carlo Padoan. Ora l’Italia è fuori gioco, essendo Mogherini, appunto, alta rappresentante per la politica estera e la sicurezza. Oppure l’Eurogruppo potrebbe decidere entro giugno di prolungare il mandato a Dijsselbloem di sei mesi. Soluzione non certo coraggiosa.
Colpisce, in ogni caso, il fatto che la riflessione politica sul ruolo dell’Eurogruppo, e quindi del suo presidente, nel quadro del rafforzamento della ‘governance’ europea sia rimasto sospesa ormai da un paio d’anni. Il commissario Ue agli affari economici Pierre Moscovici conferma di essere a favore di un presidente “permanente”. Questa è la posizione comune di Francia e Germania. Un presidente dell’Eurogruppo permanente, che si affianca ai ministri delle finanze e ne coordina il lavoro europeo, implicherebbe però un salto triplo verso l’integrazione politica della zona euro per il quale al momento, come si dice nei ‘corridoi’ comunitari bruxellesi, non c’è molto appetito. Anche su questo si continua a navigare a vista.