L’appuntamento è per lunedì 24, presumibilmente attorno a mezzogiorno: la Commissione europea presenterà le opinioni sulle leggi di bilancio 2015 di sedici paesi, Italia compresa, e il rapporto annuale sulla crescita nella Ue. Potrebbe anche presentare il piano per gli investimenti da 300 miliardi o, quantomeno una versione preliminare. Jean Claude Juncker vuole imprimere una accelerazione. Con solo due paesi dell’Eurozona su 18 con un tasso di inflazione superiore all’1%, con la prospettiva di una lunga fase di bassa crescita/stagnazione, se non ci sono iniziative espansive e non c’è una spinta sugli investimenti a livello europeo, la Bce dovrà radicalizzare le misure non convenzionali, fino all’acquisto di bond sovrani. Una prospettiva che Berlino vuole evitare. E’ questo il contesto in cui si profila la scelta della Commissione di mantenere una linea “soft” sui bilanci pubblici: l’ipotesi più accreditata è che Bruxelles non chiederebbe immediate manovre aggiuntive, all’Italia o ad altri paesi, per rinviare alla primavera una valutazione sullo stato di avanzamento delle misure di consolidamento e degli effetti sul bilancio delle riforme strutturali, la cui attuazione la Commissione intende monitorare costantemente.
Le questioni aperte sul giudizio della Commissione sulle leggi di bilancio 2015 dei paesi chiave della tornata di fine anno, e cioè Italia e Francia, sono ancora molte. L’approccio emerso, anche sulla scorta delle discussioni a margine del G20 in terra australiana alle quali ha partecipato anche Juncker, è che la Commissione userà un metro molto flessibile per misurare la congruità delle ‘finanziarie’ e delle riforme strutturali in cantiere o decise.
Le indicazioni provenienti da varie fonti, non solo italiane, vanno tutte in tale direzione. Ci saranno vari rilievi, segnalazioni di dubbi e valutazioni non certo all’acqua di rose su diversi aspetti critici (per l’Italia alcune coperture, per esempio), giudizi preoccupati sul percorso di riduzione del debito pubblico, tutto questo però non porterebbe a richieste di correzioni immediate con l’automatico restringimento dei margini di manovra per dare un minimo di sostegno all’economia. Nel caso dell’Italia, poi, è sempre aperta l’eventualità di ulteriori passi nella procedura per squilibri macro-economici (alto debito/pil e competitività cronicamente bassa) di cui ci si occuperà all’inizio del 2015. In ogni caso non tutto è chiuso: fonti Ue affermano che “nel weekend le luci ai piani alti resteranno accese a lungo” per definire posizioni e documenti relativi. La discussione tra i commissari lunedì mattina potrebbe rivelarsi piuttosto accesa e non è detto che la linea sulla quale si sarebbe impegnato Juncker (anche nelle conversazioni con Matteo Renzi a Brisbane) non scateni qualche opposizione aperta.
A quanto risulta la Commissione non intende giustificare l’approccio “flessibile” con l’esistenza di situazione generalizzata di debolezza economica complessiva. Nel rapporto sulle stime economiche a inizio novembre Bruxelles indicava: “La fiducia sta aumentando e la crescita è in ripresa per cui c’è solo una probabilità marginale di choc sufficientemente ampi per avviare una deflazione nella Ue o nell’area euro”. Non tutti la pensano così, però. Oggi il dg di Bankitalia Salvatore Rossi ha detto chiaro e tondo che “l’area euro è sull’orlo della deflazione”. Non si tratta di valutazioni espresse a caso.
La scelta della Commissione è obbligata: quanto più profonda e lunga sarà la fase di bassa crescita/stagnazione nell’Eurozona tanto più la Bce sarebbe caricata del peso di “fare qualsiasi cosa” per evitare il decadimento economico dell’unione monetaria che porterebbe all’instabilità finanziaria permanente, dei mercati e di molti Stati, alla perdita di controllo (comunque sempre relativo) dell’euro.
Nell’arsenale che la Bce sta preparando c’è anche l’acquisto di titoli sovrani, una scelta invisa alla Bundesbank e non gradita neppure al governo tedesco quantunque la cancelliera Angela Merkel abbia sempre sostenuto Mario Draghi. Le operazioni di ‘quantitative easing’ della Bce sono uno degli elementi del “terzetto possibile” europeo per uscire dalla crisi: gli altri due sono un’attenta gestione delle finanze pubbliche che, tenendo come àncora il patto di stabilità, sfrutti tutti i margini per stimolare la crescita con differente intensità a seconda della situazione dell’economia, della posizione di bilancio e dell’esposizione al rischio-mercati, e le fatidiche riforme strutturali (che aumentino il potenziale di crescita). Quanto più si agisce sugli ultimi due elementi tanto meno in teoria ci sarebbe bisogno di usare l’intero arsenale delle misure della banca centrale. Qui si capisce l’interesse della Germania ad accettare un approccio più “soft” sulle ‘finanziarie’ 2015 e forse anche sul piano investimenti di Juncker proprio allo scopo di allentare la pressione sulla Bce.
All’Europarlamento Draghi ha ricordato che l’acquisto di bond sovrani fa parte a tutti gli effetti del suo arsenale e i mercati gli hanno tributato gli onori. Non ha però fornito alcuna indicazione più precisa preferendo ribadire che “la sola politica monetaria non sarà in grado di riportare le nostre economie di nuovo in pista”. E’ sfuggito ai più il riferimento alla necessità che i governi concordino impegni a breve termine “sulla politica di bilancio in termini aggregati dell’area euro”: quanto più gli Stati condivideranno la sovranità nella politica economica e di bilancio, altra indicazione di Draghi, tanto più avrà un peso il profilo di bilancio dell’area intesa nel suo complesso.
Il piano per gli investimenti da 300 miliardi è ancora in fase di preparazione e non è chiaro. Il commissario gli affari economici Pierre Moscovici ha dichiarato che Juncker lo presenterà “nei prossimi giorni”. Non è chiaro in quale misura conterrà “risorse addizionali” rispetto a quelle esistenti mentre si dibatte parecchio sull’effetto-leva che ha il capitale pubblico di attrarre capitale privato dei vari strumenti finanziari che saranno messi in campo (variano da 1 a 3 a 1 a 8-10). Moscovici ha indicato la creazione di una istituzione europea a fianco della Bei dotata di contributi nazionali ed europei per l’assunzione dei rischi senza mettere in pericolo la tripla A della Banca europea degli investimenti. Potrebbe diventare una vera istituzione per il finanziamento della crescita con capacità autonoma di raccolta di capitali sul mercato. Tutti sanno che per colmare il buco degli investimenti nell’Eurozona occorrerebbero 700 miliardi.