Italia e Francia guidano la corsa alla flessibilità su deficit, Germania in allarme

A tre giorni dal Vertice dei capi di Stato e di Governo i principali governi affilano le armi per quella che all’Eliseo hanno chiamato una “grande battaglia” tra il fronte del rigore e il fronte pro crescita, che chiede impegni per usare tutti i margini possibili di flessibilità delle regole europee di bilancio per sostenere la spesa per investimenti pubblici di interesse europeo che sostengano la domanda, creino posti di lavoro e migliorino la competitività dell’economia Ue. Dopo la spinta del governo Renzi è stata la volta di Hollande che ha presentato il suo piano anti-crisi: “Applicare le regole di bilancio in modo favorevole alla crescita e all’occupazione, tenere conto delle riforme avviate dei paese e della loro situazione economica”. Da Berlino grande freddezza: a dimostrazione della soddisfazione esagerata per le parole della cancelliera Angela Merkel sulla flessibilità possibile sulle regole di bilancio, il suo ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble ha indicato che “accumulare nuovo debito sarebbe la cosa peggiore”, affinché i paesi possano avere più tempo per correggere i disavanzi “dovranno attenersi alle regole, niente di più e niente di meno, la continua riduzione del deficit è la precondizione per una crescita sostenibile”.

La linea di Francia e Italia è sostanzialmente convergente e segue quanto stabilito nella riunione di sabato a Parigi del fronte socialista, che vede concorde anche la Spd. I socialdemocratici tedeschi però fanno parte del governo di grande coalizione in Germania e per questo usano termini più vaghi di Renzi e Hollande. Mentre il governo Renzi indica la via dello ‘sconto’ della spesa per investimenti ai fini del calcolo del percorso di riduzione del deficit, il numero due del governo tedesco Sigmar Gabriel non ne ha fatto mai cenno limitandosi a parlare della possibilità di concedere più tempo ai paesi per raggiungere gli obiettivi di bilancio.

Per il rilancio degli investimenti, Hollande indica un programma di investimenti a cinque anni usando risorse nazionali ed europee sia pubbliche che private. La Francia stima le necessità al 2% del pil, circa 240 miliardi l’anno per progetti in grandi infrastrutture (energia, trasporti, digitale), ricerca innovazione, formazione dei giovani, sanità. A questo scopo vanno usati gli strumenti europei esistenti “immediatamente accelerando i programmi previsti nel bilancio europeo”, usando in modo “rafforzato” la Banca europea degli investimenti, il ricorso a nuovi mezzi del Fondo europeo degli investimenti per il sostegno delle start-up e il lancio di una nuova fase di project bond. Da queste indicazioni sembra ci si trovi di fronte a un aggiornamento del piano per l’occupazione e l’economia di un anno e mezzo fa, allora centrato sul ruolo della Bei con un aumento dell’azione della banca che grazie all’effetto leva dovrebbe poter mobilitare 180 miliardi di euro l’anno. La novità rispetto a quel piano (che si sta faticosamente attuando con tempi inevitabilmente lunghi) sarebbe costituita nella visione franco-italiana dagli effetti sui calcoli del deficit in relazione ai tempi degli aggiustamenti.

Fino a quando non si entrerà nel dettaglio uscendo dai riferimenti generici a concetti quali flessibilità, regole, rafforzamento del ruolo della Bei o quant’altro, non si capirà in effetti ciò di cui si sta parlando, ciò a cui si allude. In realtà i governi principali della Ue hanno l’esigenza di fornire un nuovo messaggio politico, di definire una nuova strategia che si fondi su un equilibrio pià efficace ed economicamente sostenibile tra rigore di bilancio e sostegno alla crescita, oggi molto più vicino alla quadratura del cerchio che a una strategia immediatamente a portata di mano. Difficile che questo passi, in questa fase, per una specificazione delle cose che si intendono fare. Per Hollande e Renzi lo scambio politico al Vertice Ue di questo fine settimana è chiaro: ok al lussemburghese Juncker alla testa della Commissione contro impegni precisi che la Ue volta pagina.

La difficoltà politica principale è andare oltre dichiarazioni generiche nelle quali tutti possono ritrovarsi, permettendo di tornare in patria recitando la parte dei soddisfatti e vittoriosi, salvo poi scoprire il giorno dopo che la strada è tutta in salita. Non è un caso che nelle quattro pagine della bozza del documento che il presidente Ue Herman Van Rompuy ha preparato per il Vertice (sta circolando da un paio di giorni e non è detto sia la versione che sarà poi presentata ai capi di Stato e di Governo), sulla questione centrale degli investimenti pubblici non si dica poi molto di concreto. L’acquisizione centrale sul ruolo della flessibilità sui conti pubblici c’è e questo è l’effetto della ‘campagna’ di Matteo Renzi (ma anche della Francia, della Spagna, dei paesi salvati dall’Eurozona). Nel documento Van Rompuy (Strategic Agenda for the Union in times of change) è scritto che “sulla base dei recenti sforzi di consolidamento e delle regole del patto di stabilità e di crescita e un uso pieno della loro flessibilità, l’Unione ha necessità di passi coraggiosi per aumentare gli investimenti, creare posti di lavoro e incoraggiare le riforme per la competitività”.

Van Rompuy scrive che occorre fronteggiare “le necessità di investimento in infrastrutture trasporti, energia e telecomunicazioni di rilevanza europea così come nell’efficienza energetica, nell’innovazione e ricerca,mobilitando a questo fine il giusto mix di finanziamento pubblico e privato, facilitando gli investimenti di lungo termine attraverso l’uso immediato degli strumenti finanziari esistenti e lo sviluppo di nuove capacità finanziarie”. Infine un altro riferimento alle politiche di bilancio: “Continuare a lavorare per rendere l’unione monetaria un fattore di stabilità e di crescita solido e in grado di fronteggiare gli choc con una forte ‘governance’ e un coordinamento più forte delle politiche economiche e solidarietà, per prevenire che uppi problematici negli Stati membri possano avere effetti negativi su altri Stati”. Come si vede, si tratta di formulazioni troppo vaste per poter far emergere forti contrasti.