Non solo nomi, non solo programmi. Cosi si può sintetizzare il negoziato in corso tra i governi sul profilo politico-istituzionale dell’Unione europea nei prossimi cinque anni. Ormai è chiaro che la trattativa sul presidente della nuova Commissione europea è strettamente legata alla composizione di una “rete” di policy, di priorità che deve sorreggere il compromesso. Il lussemburghese Jean Claude Juncker è sempre il candidato più quotato, ora si alza il prezzo dei consensi. E’ in tale contesto che emerge con forza il tema della flessibilità delle regole di bilancio sul quale l’Italia sta giocando la sua partita principale (l’altro tema sul quale Matteo Renzi vuole ottenere risultati è l’immigrazione): il presidente Ue Herman Van Rompuy sta cercando di trovare una formulazione che lasci la porta aperta a maggiori margini per sostenere gli investimenti pubblici senza cambiare le regole del patto di stabilità o stravolgere l’attuale impostazione. Neppure l’Italia vuole cambiare le regole, ma non si capisce ancora come saranno trovati i nuovi margini di azione sul bilancio.
La posizione italiana espressa pubblicamente è per ora sufficientemente generica per non aprire un contenzioso politico con la Germania. Stando a diverse fonti, Renzi si aspetta che nel documento al quale sta lavorando Van Rompuy, ci siano espliciti riferimenti concreti alla necessità di usare gli strumenti della legislazione europea per sostenere gli investimenti pubblici.
Non è sul tavolo la richiesta di modificare le regole per non calcolare la spesa per investimenti pubblici produttivi nel calcolo del deficit, ha ribadito il ministro dell’economia. Presumibilmente si riferisce alle regole del 3%, parametro scritto nel Trattato e quindi al momento non modificabile), non a quelle con le quali via via si è arricchito il sistema di norme sui bilanci pubblici. Per esempio secondo la ‘clausola degli investimenti’ già operativa è possibile tenerne conto nella definizione dei tempi per raggiungere gli obiettivi di bilancio (nel caso dell’Italia il pareggio strutturale) se un paese si trova in queste tre condizioni: crescita negativa o comunque ben al di sotto del suo valore potenziale; lo scostamento non determina un disavanzo pubblico in eccesso rispetto alla soglia del 3 per cento del pil e la regola del debito è rispettata, lo scostamento è relativo alla spesa nazionale per progetti di investimento co-finanziati dall’Unione europea nell’ambito della politica strutturale e di coesione, delle reti trans-europee o del Meccanismo per collegare l’Europa (Connecting Europe Facility). I progetti devono avere sul bilancio pubblico un effetto di lungo termine positivo, diretto e verificabile
E’proprio su tale clausola che l’Italia contava qualche mese fa, ma non se n’è fatto nulla perchè nel 2014 il pil non sarebbe stato negativo e perchè non veniva rispettata pienamente la regola del debito (mentre centrava perfettamente la condizione relativa al 3%). Evidentemente è su questo approccio che occorrerebbe fare leva. Sta di fatto che a fine anno, i ministri dell’Eurogruppo si sono letteralmente spaccati a metà su questo schema proposto dalla Commissione. « Non c’è consenso politico tra i governi per percorrere questa strada », ha indicato qualche giorno fa il dg degli Affari economici della Commissione Marco Buti.
Non è chiaro quale sarà il compromesso possibile. Certamente i segnali della cancelliera Merkel e del ministro delle finanze tedesche Schaeuble non è molto promettente : « Il patto di stabilità è già abbastanza elastico » ; ha ribadito oggi Schaeuble. Il rischio è che tutto finisca in un esercizio di equilibrismo che alluda a nuove possibilità senza specificazioni nè sulle modalità nè sui tempi per accontentare tutti.
Uno scenario possibile lega la flessibilità sul bilancio per far posto agli investimenti all’impegno ad attuare riforme strutturali che richiedono un certo costo finanziario per gli Stati e hanno a termine un impatto positivo anche sul bilancio pubblico (quantomeno attraverso la maggiore crescita). Questo è lo scambio proposto dall’Italia: concedere più tempo per raggiungere il pareggio di bilancio a fronte di un programma credibile e in corso di riforme strutturali. E’ un percorso che già l’Italia ha imboccato per il 2014 e che è stato di fatto riconosciuto dalla stessa Commissione e dagli altri governi (sarà ufficializzato domani alla riunione Ecofin). Si tratta sostanzialmente di una versione aggiornata degli accordi contrattuali tra Stati e Ue che nella visione originaria tedesca avevano una dimensione esclusivamente di tipo “contrattuale” con un ruolo minore per la “solidarietà” tra Ue e Stati che intraprendono riforme costose e impopolari. Il governo Renzi sta puntando la massima attenzione su questa ipotesi che, prima delle elezioni, si era sostanzialmente arenata date le divergenze profonde nell’Eurogruppo tra il solito ‘fronte del Nord’ e il resto dei governi. Si tratta di una partita che Renzi e Padoan intendono riaprire durante la presidenza italiana (da luglio). Stando a fonti europee, nel documento Van Rompuy dovrebbe esserci un riferimento a tale ipotesi.