Dieci paesi europei partiranno con una tassa sulle transazioni finanziarie armonizzata il primo gennaio 2016. Entro la fine di quest’anno dovranno essere concordati i contenuti, i vari passaggi per estenderla dagli scambi di azioni e di alcuni non ancora identificati strumenti derivati (probabilmente ci saranno quelli su azioni) ad altri strumenti finanziari, in primo luogo le obbligazioni. Questo hanno deciso i ministri finanziari di Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Slovacchia, Spagna. Assente dell’ultima ora la Slovenia: in piena crisi politica abbandonerebbe il plotone. Dieci paesi per una “cooperazione rafforzata”, gli altri fuori, Regno Unito in testa e poi Lussemburgo, Olanda. Eurozona spaccata, ma il grosso vuole la Tobin Tax (denominazione non corretta perché riferita all’idea di mettere polvere nelle transazioni sulle valute, ma ormai acquisita come ‘logo’ per le transazioni finanziarie). Aver stabilito un calendario è un passo politico importante con l’occhio chiaramente rivolto al voto europeo. Ma è un fatto che sui contenuti c’è totale incertezza: quali derivati includere e quali escludere, aliquote, tabella di marcia per i passi successivi alla prima fase. Motivo: gli stessi ‘10’ hanno interessi per ora troppo diversi.
Il documento presentato dai dieci ministri finanziari (per l’Italia Per Carlo Padoan che ha parlato di chiari “progressi” su un impegno che dormiva da mesi in negoziati non molto concludenti) indica chiaramente la data del 2016. E’ un modo per costringersi a decidere molto usato nella diplomazia europea. Tante volte ha funzionato, tante altre volte no. Berlino e Parigi avevano stretto un patto: occorre inviare alle opinioni pubbliche insofferenti per il tocco considerato troppo gentile al sistema finanziario nel riassestamento delle regole del gioco dopo la crisi, nella speranza di ricavare un risultato alle urne. La Tobin Tax fa parte dell’accordo della grande coalizione in Germania. La Slovenia, si dice, è un caso a parte. Ma è un fatto che i componenti del plotone appaiono piuttosto divisi e lo ha ammesso il ministro austriaco Michael Spindelegger indicando che se fosse stato per Vienna sarebbero tassati dall’inizio tutti i derivati. Come è noto molte banche europee (francesi e anche tedesche) sono molto presenti in tale mercato. La divisione è sui tipi di transazione da tassare, su chi deve raccogliere il prelievo se il paese in cui è stabilito chi effettua la transazione o il paese in cui la transazione viene effettuata, i piccoli paesi tendenzialmente sono interessati a estendere la base della Tobin Tax mentre i grandi preferiscono prudenza. Inoltre chi già pratica una tassazione delle transazioni finanziarie vuole tenere la tassa armonizzata al livello della propria, non certo superiore. In Francia gli acquisti di azioni, diritti di voto, certificati e diritti di firma vengono tassati allo 0,2%, in Italia sono tassati azioni e altri strumenti di partecipazione emessi da imprese residenti in Italia con una capitalizzazione di Borsa oltre mezzo miliardo di euro, le transazioni in derivati su tali strumenti nella misura dello 0,1% e dello 0,2% nelle transazioni otc.
I diplomatici consigliano di non rifarsi per il momento alla proposta della Commissione europea che indicava una tassa dello 0,1% sulle transazioni di azioni e di 0,01% su quelle di derivati. In molti paesi la Tobin Tax viene già praticata in vario modo e misura, dal Regno Unito a Svizzera, Belgio, Finlandia, Polonia, Grecia, Cipro. La Francia ha introdotto una tassa sulle transazioni finanziarie nell’agosto 2012, l’Italia nel marzo 2013. Il mondo finanziario e bancario è contro, la Bce è contro perché ritiene suicida organizzarsi da soli uno spiazzamento competitivo rispetto ad altri paesi. L’indeterminatezza dei contenuti riflette pienamente questa realtà: probabilmente la Tobin Tax piace più per i suoi significati politici che per il conto profitti e perdite dal punto di vista economico. Chi l’ha introdotta procede con i passi di piombo. E’ evidente però che proprio per le caratteristiche della crisi finanziaria e del modo in cui è stata gestita la risposta pubblica, le questioni di equità e le relazioni tra finanza e Stati hanno un grande peso. Il passaggio più interessante della dichiarazione comune dei dieci ministri finanziari è questo: la progressività (si comincia da azioni e alcuni derivati) indica un “approccio essenziale per assicurare che ogni passo verso la piena attuazione della tassa sulle transazioni finanziarie sia disegnata in modo che tenga nel debito conto dell’impatto economico”. Quindi massima cautela.
Non stupisce l’opposizione britannica: il bello è che a Londra vengono tassati dello 0,5% i documenti sul trasferimento di azioni o titoli negoziabili, la tassa di bollo (stamp duty reserve tax) sul trasferimento di valori mobiliari soggetti a tasse (di norma quote di società britanniche) è dello 0,5%. Londra odia le tasse a livello europeo e darà battaglia legale perché ritiene che la Tobin Tax dei ‘10’ implichi l’extra-territorialità. Attenzione al paradosso: se adottasse l’aliquota proposta dalla Commissione europea, Londra risparmierebbe dei soldi.