Per quanto si cerchi di dissimularne il significato sia da parte italiana sia da parte delle istituzioni europee, la discussione sul caso italiano lunedì pomeriggio all’Eurogruppo può rivestire molta importanza. Il motivo è semplice: si potrà verificare se il messaggio lanciato da Mario Monti alla conferenza sulla concorrenza è caduto nel vuoto o sarà raccolto coraggiosamente da qualcuno. Sia pure in una forma allusiva, Monti ha detto più o meno questo: l’Italia ha dimostrato ampiamente di essere in grado di tenere sotto pieno controllo i conti pubblici, non ha mai chiesto più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio. Se però negli altri paesi si rendono flessibili i calendari, non ci si lamenti che si rafforzino le posizioni contrarie alle politiche europee. Svantaggi ‘competitivi’ di tale natura disintegrano le migliori intenzioni.
Il solo modo per tornare a Bruxelles dopo la sconfitta elettorale per un premier in carica come Monti era, naturalmente, quello di attaccare. Ma non si renderebbe giustizia alle posizioni e ai risultati ottenuti nella gestione della crisi Eurozona e per l’Italia (è il caso dello scudo anti-spread) in quest’ultimo anno se non si ricordasse che la posizione di Monti sui ‘calendari del consolidamento’ è del tutto coerente con quanto fatto finora. Nel suo ragionamento c’è un punto debole: Spagna, Portogallo e Grecia hanno ottenuto più tempo per raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit, ma si tratta di paesi sotto stretto commissariamento (la Spagna un po’ meno perché sotto perfusione finanziaria solo per le banche). Condizione che l’Italia respinge (e che presumibilmente continuerà a respingere in futuro). Ma ha pienamente ragione nel caso della Francia: nel 2013 avrà un deficit/pil al 3,7%, punta al rinvio di un anno per scendere sotto il 3% e la Commissione non esclude che ciò si possa fare. Naturalmente a patto che si realizzino certe condizioni: un deficit “nettamente” al di sotto del 3% nel 2014, un aggiustamento del bilancio in termini strutturale oltre l’1% in media all’anno.
Il Belgio ha fatto subito sapere che non c’è ragione per assicurare alla Francia un trattamento di favore. Il governo Di Rupo deve far fronte al rischio di sanzioni se le garanzie pubbliche concesse a Dexia saranno conteggiate nel calcolo del deficit ai fini del patto di stabilità portandolo dal 3% al 3,7-3,8% quest’anno. La questione sollevata con tortuoso garbo da Monti è più politica: il fatto che in un paese come l’Italia, terza economia dell’Eurozona, oltre metà del corpo elettorale si sia pronunciato contro l’austerità concordata con Bruxelles, in tutto e per tutto coerente con le politiche definite all’Eurogruppo, non può non essere un problema europeo a tutti gli effetti. Politico ancor prima che economico-finanziario. Ricostruendo mosse, posizioni e dichiarazioni del governo uscente, l’idea di Monti non è quella di chiedere tolleranza sulla fatidica soglia del 3%, che l’Italia peraltro sta abbandonando (3% nel 2012 secondo l’Istat, 2,9% per la Commissione, 2,1% nel 2013 e nel 2014), ma flessibilità sulla valutazione delle spese per gli investimenti e per pagare i debiti contratti con le imprese a fronte di un costante impegno ad avvicinarsi al pareggio strutturale. In questo quadro anche, casomai, più tempo, ma sempre restando sotto la soglia del 3%. Se a Palazzo Chigi andrà Pierluigi Bersani, la musica non cambierà. Anzi. Ha detto in una intervista Bersani: “In sede europea tutti si devono mettere in testa che il rientro dal debito e dal deficit è un tema che va spostato nel medio periodo”. La Commissione europea ha preferito non commentare il messaggio del segretario Pd.
Di fronte a tutto questo, Olli Rehn ripete il mantra della flessibilità ‘caso per caso’. Della necessità di superare questa fase almeno sperimentando nuove forme di flessibilità sulla valutazione contabile delle scelte di spesa pro-crescita se non di nuova strategia dei ‘calendari’ si parla solo nelle riunioni tecniche e abbastanza sommessamente. Vedremo se, l’ansia per il futuro politico dell’Italia si tradurrà in idee e proposte ‘attive’ nella discussione informale all’Eurogruppo sugli scenari post-elettorali. Certo è che per operazioni di questo tipo, almeno un requisito è necessario: stabilità politica, prevedibilità delle politiche economiche.