LETTERA DA BRUXELLES Eurozona: 2013 crescita di nuovo sotto zero, futuro al rallentatore

  Non sono una doccia gelata le nuove previsioni economiche della Commissione europea solo perché le indicazioni fondamentali erano ampiamente attese. In sintesi: due anni consecutivi di recessione nell’Eurozona, una ripresa stentata verso fine 2013, un 2014 con in pil a quota +1,4%. Una espansione che Bruxelles non esita a definire “modesta”, comunque non certo in grado di far scendere la disoccupazione che arriverà quest’anno al livello record del 12,2%. Nel 2012 e 2013 sette paesi risultano in recessione: Italia, Grecia, Spagna, Cipro, Olanda, Portogallo, Slovenia. La Francia era a quota zero crescita l’anno scorso, quest’anno farebbe +0,1%. Nessuno si frega le mani. Finlandia e Belgio non stanno molto meglio: +0,3% la prima quest’anno, +0,2% il secondo. La Germania chiuderebbe il 2013 con una crescita dello 0,5%: in novembre la stima era +0,8%: la crisi dell’Eurozona colpisce anche il centro ‘motore’ dell’unione monetaria. Nel 2014 è prevista in recessione solo Cipro. Se verrà salvata dall’Esm.



 Il quadro è piuttosto grigio. Soprattutto se confrontato con gli Usa: l’anno scorso pil +2,2% (Eurozona -0,6%), quest’anno 1,9% (Eurozona -0,3%), l’anno prossimo +2,6% (Eurozona +1,4%). Ma anche con il Giappone: +1,9%, +1%, +1,6%. Dall’analisi degli economisti della Commissione europea emerge un quadro preoccupato per l’immediato futuro. Uno dei fattori frenanti tipico di questa lunga crisi è costituito dal ‘deleveraging’, dall’aggiustamento dei bilanci delle imprese: Bruxelles stima che “nei prossimi anni proseguirà” in misura consistente, per arrivare a circa il 12% del pil nell’Eurozona. Non parliamo di banche parliamo di tutto il settore non finanziario. Ci si aspetta che le imprese riducano lo stock del debito in termini reali aumentando i risparmi (taglio della quota salari e del reddito distribuito ai detentori del capitale) e riducendo gli investimenti. L’esperienza del passato indica che un processo del genere può durare per un periodo “esteso”. Secondo le simulazioni della Dg Ecfin un ‘deleveraging’ del 10% del pil nell’Eurozona nel corso di 10 anni ridurrebbe gli investimenti delle imprese dello 0,6% nel primo anno e dell’1,6% cumulato dopo 5 anni. Di più: si ritiene che la spinta al “deleveraging” “può persistere anche se l’accesso al credito fosse restaurato rapidamente”. Se si aggiunge l’aggiustamento dei bilanci pubblici e dei bilanci familiari il quadro si completa. La crescita futura non può che essere pallida.
  Nel rapporto di previsione viene riconosciuto apertamente che l’impatto del consolidamento simultaneo dei bilanci a breve termine si fa sentire parecchio, ma Bruxelles respinge la tesi secondo cui se ne possa fare a meno. L’apertura alla concessione di maggiore tempo ad alcuni paesi per portare il deficit/pil nominale sotto il fatidico 3% non è cosa di oggi. Lo scambio è chiaro: più tempo solo a fronte di impegni nella correzione strutturale dei conti pubblici e nelle riforme strutturali per rendere le economie più dinamiche e non squilibrate, in un contesto in cui la ‘colpa’ degli sforamenti dei target è del peggioramento dell’economia. Tale flessibilità non viene considerata un modello: la Commissione indica la strada del ‘caso per caso’, non di una ‘policy’ generalizzabile e spendibile come fattore politico-psicologico. Sono 7 i paesi che non raggiungeranno gli obiettivi di bilancio nel 2012 o nel 2013: in Spagna il deficit è esploso, la Francia è il caso del giorno, poi ci sono Cipro, Olanda, Portogallo, Slovenia, Slovacchia.
  Il commissario Olli Rehn non si è sbilanciato: ha indicato che a maggio si discuterà sulla Francia (il cui governo già ritiene che ci siano tutti gli elementi per spostare al 2014 la riduzione del deficit/pil al 3%) e così sarà anche per altri paesi. Forse per la Spagna una decisione potrebbe arrivare prima. L’Italia non ha bisogno di rinvii, per Bruxelles non ha senso parlare adesso di nuove manovre finanziarie aggiuntive. Sotto il 3% del pil il deficit lo è già dall’anno scorso, in termini strutturali (cioè al netto degli effetti del ciclo e delle misure una tantum) la posizione del bilancio è equilibrata. A patto che non cambi il senso delle politiche praticate finora.