LETTERA DA BRUXELLES Attenzione a caso Mps e impatto su negoziato Esm

  E’ un problema delle autorità di supervisione, non un problema della Commissione europea. Però a Palazzo Berlaymont il caso Monte dei Paschi è sotto massima attenzione. I motivi sono due. Intanto c’è un dossier Mps aperto alla Concorrenza: avendo il governo italiano fornito la stampella finanziaria per la ricapitalizzazione, quaranta giorni fa Bruxelles ha solo dato un via libera solo temporaneo in attesa di  ricevere un piano di ristrutturazione della banca. Il secondo motivo riguarda il difficile negoziato in corso tra i governi sulle modalità di intervento dello European Stability Mechanism nelle ricapitalizzazioni dirette delle banche: il caso Montepaschi può rafforzare la tesi tedesca (e finlandese, olandese, austriaca) secondo cui i ‘buchi’ nei bilanci che precedono l’avvio della nuova missione Esm non devono essere ‘riempiti’ con prestiti europei.



  I servizi dei commissari alla concorrenza e al mercato interno sono “in contatto” con le autorità italiane. Entrambi i portavoce di Almunia e Barnier hanno rinviato alle decisioni della Banca d’Italia in quanto supervisore nazionale. Bruxelles sarà direttamente coinvolta solo sull’aspetto dell’aiuto di Stato da compensare una volta passata l’emergenza finanziaria. Sei mesi dopo il via libera ai Monti-bond (più o meno entro giugno, vengono calcolati i giorni lavorativi dal 17 dicembre), deve essere presentato un piano di ristrutturazione della banca come è successo in tutti i casi di salvataggio pubblico occorsi dall’inizio della crisi secondo una sequenza ormai consolidata: ok velocissimo per il salvataggio, controllo stretto sulle ristrutturazioni che hanno comportato in diversi casi tagli considerevoli ai bilanci, ridimensionamenti del business, della posizione di mercato.
  Tanto per dare un’idea della dimensione di tali interventi, tra ottobre 2008 e ottobre 2012 la Commissione ha preso oltre 350 decisioni su aiuti di Stato al settore finanziario autorizzando, emendando o prolungando oltre 50 regimi di intervento pubblico che hanno coinvolto oltre 90 istituzioni finanziarie. Tra garanzie, ricapitalizzazioni, gestione degli asset deteriorati, sostegni alla liquidità, in tutto si è trattato di misure per 5058,9 miliardi, pari al 40,3% del pil Ue.
  E’ evidente che il piano di ristrutturazione del Montepaschi dovrà fondarsi sulla massima chiarezza sul passato ed è anche su questo che interverranno a tempo debito gli analisti della Concorrenza. Obiettivo: assicurare che il modello di business della banca regga nel medio-lungo termine e siano riequilibrati i guasti alla concorrenza determinati dall’aiuto pubblico, accertare che gli oneri della ristrutturazione siano stati sostenuti dai ‘privati’ come dovevano. Nessun ruolo ha la Commissione europea nel controllo dell’azione di vigilanza a meno che non esista il sospetto di violazione delle regole sulla libera circolazione dei capitali. Il caso Mps è di altra natura, non riguarda una fusione o un tentativo di acquisizione da parte di gruppi esteri, riguarda un ‘buco’ sui derivati oltreché la gestione della banca. E proprio qui che il caso si intreccia alle discussioni sull’intervento diretto dell’Esm nelle ricapitalizzazione bancarie. Da un lato c’è sempre il timore che ‘buchi’ su operazioni con i derivati possano emergere anche in altre banche europee: ciò rimanda al problema di come funziona il regime prudenziale e della capacità dei supervisori di esercitare la loro funzione usando tutte le leve offerte dalla regolazione di Basilea. Dall’altro lato c’è la questione dei cosiddetti ‘legacy assets’: più volte il ministro tedesco Schaeuble ha dichiarato di opporsi al trasferimento dei programmi attuali di ricapitalizzazione delle banche sotto l’ombrello Esm e che i ‘buchi’ del passato devono essere gestiti nei vari paesi. Forse si teme addirittura che la vicenda del derivato Mps possa non essere un caso isolato. Infine può esserci un altro impatto del caso italiano sulle valutazioni dei ‘policy makers’ europei: la nuova vigilanza Bce è destinata a rompere i legami banche-governi, a ridurre l’influenza ‘sovrana’ sulle banche (anche se il ‘sovrano’ non risiede nella capitale). Lo ha detto Mario Draghi a Davos e a Bruxelles gli danno ragione in molti.