A chi tocca la prima mossa adesso? E’ questo l’interrogativo più diffuso dopo le decisioni (storiche) della Bce. Tutte le dita puntano verso la Spagna, ma Madrid tira il freno. Chiedere l’intervento anti-spread, dopo aver chiesto un pacchetto miliardario (fino a 100) per ricapitalizzare le banche, non è uno scherzo e deve essere deciso, se è il caso, al termine di valutazioni attente, calme, politicamente prudenti. Il governo Rajoy vuole capire quali sono le nuove condizioni cui dovrà sottostare il paese se userà lo ‘scudo’ Bce. Quindi continua a procedere con i piedi di piombo anche se il tempo incalza: a ottobre scadono titoli per 30 miliardi di euro e non è uno scherzo. L’aspettativa è che alla riunione informale dei ministri finanziari europei fra una settimana a Cipro si saprà qualcosa di più preciso. Si lavora per chiudere il caso entro metà ottobre a ridosso o durante la riunione dei capi di stato e di governo Ue il 18-19. Ma non è detto che aspettare tutto questo tempo sia una cosa buona, non comporti il rischio che l’immediato applauso alle mosse di Draghi via via si stemperi. Ecco la nuova preoccupazione.
Tutti i commenti del giorno dopo vanno in una sola direzione: la Bce ha deciso, con tutte le difficoltà note, ora tocca ai governi, ai politici. Tocca innanzitutto rispettare gli impegni di consolidamento e riforma economica, ma tocca anche decidere se usare o no il ‘bazooka’ finanziario per difendere l’Eurozona. Tutto ruota attorno al problema della nuova condizionalita’ richiesta dalla Bce per comprare i bond sul mercato secondario. E sul ruolo del Fondo monetario internazionale. Auspicato, preferito da Mario Draghi, ma siamo al limite della obbligatorietà, tanto è vero che alla Commissione europea danno già per scontato che il Fmi avrà un ruolo nella vigilanza sui programmi ‘precauzionali’ (così si chiamano quelli relativi all’operazione di calmiere degli spread), anche se nelle regole Efsf/Esm tale ruolo non viene considerato obbligatorio. Non solo: per pronunciarsi sulla questione, la Commissione europea aspetta addirittura di capire la posizione del Fondo monetario, che prossimamente la esprimerà.
E’ chiarissimo che le condizioni per avere lo scudo per gli spread non saranno “light”, leggere o semi-inesistenti come voleva Mario Monti. Senza tali condizioni, però, la Bce non avrebbe potuto decidere ciò che ha deciso perchè il governo tedesco le avrebbe sbarrato la strada. Detto questo, si dovrà vedere sul campo in che cosa consisterà la nuova sorveglianza per un paese come la Spagna (e se del caso l’Italia dovesse suonare alla porta Bce) già subissata di raccomandazioni, vincoli, programmi concordati nel dettaglio. L’economista Nouriel Rubini a Cernobbio lo ha detto molto bene: c’è una fatica di riforme e c’è una fatica da salvataggio dei paesi vulnerabili da tenere presenti. Tutte e due le fatiche vanno gestite e non sottovalutate. Certo il tetto agli spread implica una ulteriore perdita di sovranità e un governo commissariato da Ue, Bce e Fmi vale meno di un governo che non lo èsoprattutto se il paese sta già rispettando impegni assunti a livello europeo. E’ chiaro che sui caratteri di tale nuova condizionalità si giocherà la partita dei prossimi giorni. Improbabile che non se ne parli nei colloqui che il ministro dell’economia Vittorio Grilli avrà lunedì con il presidente Eurogruppo Juncker a Lussemburgo e con il collega francese Moscovici a Parigi qualche ora dopo.
A questo punto l’Italia ha interesse che la Spagna rompa gli indugi e si faccia avanti. Se l’intervento Bce ha un senso, l’obiettivo principale è staccare l’Italia dalla Spagna, tentare il “decoupling” (disaccoppiamento) nella percezione degli investitori, dei mercati, e anche di fatto. Nei ‘palazzi’ europei (Commissione e Consiglio Ue) si pensa che il “decoupling” sia a portata di mano a patto che l’Italia non deragli dai binari definiti dal governo Monti. Oggi come dopo il voto di primavera.