LETTERA DA BRUXELLES Non si dice apertamente ma sul deficit spagnolo ci sarà flessibilità

Faranno il muso duro contro l’Ungheria la prossima settimana i ministri finanziari, facendo scattare per la prima volta nella storia europea la sospensione di una parte dei fondi di coesione perché il paese continua a non correggere l’eccessivo disavanzo pubblico. E’ anche un fatto, però, che Commissione europea e molti governi non sembrano così ansiosi di mettere duramente sotto tiro la Spagna, che pure ha messo tutti di fronte al fatto compiuto annunciando in pieno vertice Ue che lascerà correre il deficit pubblico ben oltre il 4,4% quest’anno, fin sotto il 6%. Molta irritazione, dichiarazioni roboanti, viene evocato il rischio sanzioni beninteso, ma sul piano pratico è abbastanza chiaro che ci sono tutte le condizioni perché alla Spagna vengano dati dei margini di manovra in più dato che, almeno in parte, lo sforamento di 2,5 punti percentuali di deficit nel 2011, è dovuto alla bassa crescita. Si tratta di determinare in quanta parte.



   Una missione europea andrà a Madrid per capire cause oggettive e responsabilità soggettive (del governo Zapatero come del governo Rajoy per quanto concerne le prime misure di finanza pubblica). La supervisione sarà occhiuta. Il fatto che la Spagna abbia perduto terreno sui mercati (anche se ciò è dovuto alla gran corsa al ribasso degli spread sui titoli italiani) preoccupa certamente, ma il paese non viene più considerato bisognoso di salvataggi. Se Madrid e Bruxelles il confronto non sarà all’acqua di rose, il contesto in cui si svolgerà il confronto sul deficit non è sfavorevole a soluzioni flessibili.
  Il portavoce del commissario Olli Rehn continua a ripetere che le regole sui bilanci del patto di stabilità riveduto e corretto (tra six pack e fiscal compact) vanno rispettati. Ma sull’attuazione stretta degli impegni assunti fin qui dalla Spagna, le risposte restano piuttosto nel vago, rimandano alla valutazione di dettaglio sui ‘buchi’ nel bilancio, alle cose che Madrid deve ancora chiarire. Il fatto è che nelle ultime settimane, mentre tutti (media, esponenti di governo) parlavano della granitica durezza delle nuove regole europee, l’Ecofin ha modificato, affinandola, la sua ‘policy’ alla luce dell’emergente recessione, che in Spagna portato la disoccupazione dei giovani di età inferiore ai 25 anni alla soglia del 50%. Leggere per credere. Il 4 ottobre, cioè all’inizio di un trimestre che nell’Eurozona si sarebbe chiuso in crescita positiva a +0,7%, l’Ecofin concludeva che gli stati sottoposti a forti pressioni di mercato (erano i tempi del tiro su Spagna e Italia, quest’ultima a rischio di precipitare in una drammatica crisi finanziaria) dovevano raggiungere gli obiettivi di deficit “indipendentemente dalle condizioni macroeconomiche ed essere pronti a prendere ulteriori misure di consolidamento se necessario”.
  Venti giorni fa, esattamente il 21 febbraio, in mezzo al primo trimestre a crescita negativa nell’Eurozona (-0,3%), l’Ecofin si è limitato a indicare per tali paesi il rispetto degli “obiettivi concordati” invitandoli a “essere pronti a ulteriori misure…”. Quelle quattro parole magiche ‘indipendentemente dalle condizioni macroeconomiche’ non sono state dimenticate, sono state espressamente cancellate. Ciò vuol dire due cose. La prima, praticissima per la Spagna, è che il governo Rajoy dovrebbe alla fine avere più margini di manovra quest’anno, per spostare gli sforzi maggiori sull’anno prossimo in modo da confermare nel 2013 l’impegno a correggere completamente il disavanzo eccessivo. La seconda è la conferma che per quanto strettissima sia la corda della vigilanza dei bilanci, nessuno a Bruxelles vuole tirarla a prescindere dallo scenario economico, come peraltro le stesse regole prevedono. Che adesso a Bruxelles come a Berlino, in modo particolare, non si voglia dirlo esplicitamente è un altro discorso.