“Adesso le autorità greche e le forze politiche dovrebbero assumere la piena responsabilità” dell’attuazione del programma economico concordato con Eurozona, Fondo monetario e Bce e attuarlo. Contiene una ammissione evidente la dichiarazione con la quale il commissario europeo Olli Rehn ha accolto il voto del parlamento greco a favore del secondo pacchetto anti-crisi, condizione preliminare per ottenere il secondo prestito di 130 miliardi (o 145 miliardi ancora non si sa) dopo il primo di 110 miliardi un anno e mezzo fa. L’ammissione viene espressa con l’avverbio ‘adesso’: come dire che prima, cioè fino al tormentato via libera dei deputati, le cose stavano diversamente, c’era qualcuno che tirava (Commissione, Bce, Fmi) e qualcun altro che seguiva recalcitrante (il governo greco). In effetti così è stato, ma oggi il richiamo ha uno scopo preciso: allontanare l’idea che Atene è strettamente commissariata dall’esterno, sfuggendo al tiro al bersaglio delle piazze. E’ una ipocrisia nascondere tirare il sasso e nascondere la mano: la Grecia resterà commissariata per parecchio tempo e con il secondo prestito, lo sarà ancora più di prima. Basti pensare che una delegazione di esperti di Bruxelles (Commissione), Francoforte (Bce) e Washington (Fmi) risiederà stabilmente ad Atene. I greci lo sentiranno meno solo se le classi dirigenti nazionali avranno il coraggio della verità, assumendosene tutti i rischi. Paradossalmente, le ‘chance’ di vittoria elettorale vengono attribuite al partito Nuova Democrazia che aveva truccato i conti pubblici. Stupisce un fatto: chi, a fronte della protesta sociale, chiede giustamente un salto di qualità delle politiche europee in senso federalista, fino a immaginare gli eurobond magari combinati con un nuovo soggetto politico corrispondente quale potrebbe essere un ministro dell’economia per l’Unione monetaria, critica duramente il commissariamento di oggi in uno stato di necessità. Dimenticando che quanto più sarà condivisa la politica di bilancio nell’Eurozona tanto più ridotta sarà la sovranità nazionale sulle finanziarie ‘interne’, sui meccanismi di funzionamento dello stato in relazione alle variabili economiche, dal fisco alle politiche salariali. In quello scenario tutti, ma davvero tutti (anche la Germania), sarebbero ‘commissariati’ e questo farebbe la differenza. Il patto fiscale e sociale nell’unione monetaria, se si vuole che l’unione monetaria regga, non potrà più essere esclusivamente nazionale anzi, deve esserlo sempre meno.
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