E dieci. Con le dimissioni del governo rumeno sono così tanti nella Ue i governi travolti direttamente o indirettamente dalla crisi. Il primo ministro Emil Boc, sempre più messo sotto accusa dal suo stesso partito (democratico-liberale), si è reso conto che il governo di centro-destra non ha più margini per sopravvivere e ora si ipotizza un governo tecnico per organizzare le elezioni. Il programma di austerità sostenuto da Ue e Fondo monetario internazionale viene contestato radicalmente e le dimissioni seguono di qualche giorno la fine di una missione di controllo Ue-Fmi, secondo cui la Romania è "meglio attrezzata rispetto ad altri paesi europei a fronteggiare la tempesta finanziaria". In novembre sono saltati i governi Berlusconi in Italia e Papandreu in Grecia ed entrambi i premier sono stati sostituiti da 'tecnici' (Mario Monti e Lucas Papademos, ex numero 2 Bce). Prima la crisi ha contribuito a destabilizzare i governi in Portogallo, Irlanda, Regno Unito, Ungheria, Danimarca, Slovacchia e Slovenia. Naturalmente ogni paese ha la sua storia, a cominciare dall’Italia, sta di fatto però che le difficoltà delle coalizioni al potere che hanno fronteggiato la crisi sono il comune denominatore dei cambi di maggioranza o di dimissioni dei governi. Nell’incontro quotidiano con la stampa oggi la Commissione europea ha tagliato corto, indicando che non c’è alcuna relazione tra le ricette di politica economica e di bilancio confezionato con l’apporto (e che apporto) di Bruxelles, della Bce o del Fondo monetario e la crisi dei governi al potere per la semplice ragione che quelle ricette devono essere applicate ‘a prescindere’. E’ certo, però, che la catena ormai lunga di coalizione al poterei ‘saltate’ è la conferma della progressiva riduzione dei margini di manovra dei governi nazionali.