E’ mercoledì 12 gennaio uno dei giorni da ‘resa dei conti’ per il Portogallo. Nonostante le smentite tedesche e francesi sulle pressioni esercitate sul governo di Lisbona affinché chieda l’aiuto europeo, i mercati restano in attesa dell’emissione di titoli quinquennale e decennali per 1,25 miliardi e c’è pessimismo sul fatto che il Portogallo sarà in grado di resistere da solo. Come dimostra l’andamento negativo delle Borse, la tensione resta nonostante oggi i tassi sui titoli greci, irlandesi e portoghesi abbiamo ridotto lo spread rispetto ai Bund tedeschi. La dimensione dell’operazione non è poi così significativa, ma è il clima generale di sfiducia sul Portogallo: come potrà con un’economia che cresce al lumicino fronteggiare lo sforzo di durissimo aggiustamento dei conti pubblici? Giovedì toccherà anche a Spagna e Italia presentarsi sul mercato (rispettivamente titoli quinquennali per 2,5 miliardi e a 5 e 15 anni in totale fra 4 e 6 miliardi). Il fatto che le emissioni siano state fissate nello stesso giorno non viene considerato dai ministeri del Tesoro un problema, dal momento che i ministri dell’Eurogruppo si sono impegnati a fine novembre a concordare il calendario delle uscite sul mercato per evitare una concorrenza che nei momenti di maggiore tensione potrebbe rivelarsi un boomerang.
E’ chiaro che per la Spagna è un vero test, dato che nella percezione prevalente sui mercati se il Portogallo dovesse chiedere l’aiuto dell’Eurozona e del Fondo monetario come Grecia e Irlanda, sarebbe quasi automaticamente candidato a seguirlo a ruota. Le emissioni saranno scrutate attentamente per vedere a quali livelli monteranno i tassi rispetto alle precedenti (i tassi spagnoli sono al 5,5% mentre quelli portoghesi hanno superato il 7%). Si tratta comunque di un ‘assaggio’ dato che solo tra aprile e maggio ci sarà una ondata consistente di rimborsi che arriveranno a scadenza.
La novità di questi giorni è che le emissioni avvengono mentre cresce l’aspettativa che il Portogallo non abbia più molti margini. In questo quadro le voci sulle pressioni dall’Eurozona perché Lisbona compia l’amaro passo sono benzina sul fuoco. Viene notato che tutti i ‘rumori’ provengono dalla Germania, anche se le smentite ufficiali sono nette, con Der Spiegel che pubblica l’indiscrezione secondo cui Parigi e Berlino vogliono che il Portogallo chieda l’aiuto finanziario in nome della stabilità dell’Unione monetaria. Decisivo sarebbe stato l’incontro a Strasburgo tra i ministri Christine Lagarde e Wolfgang Schaueble. La Commissione europea ha smentito che un’ipotesi del genere sia in discussione e non si aspetta che lo sarà. Lisbona si chiude a riccio e si accoda alle smentite, tremando al pensiero di tornare ai tempi del ‘commissariamento’ Fmi, alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80. L’atto di fiducia spagnolo, con la ministra Elena Salgado che afferma “il Portogallo non avrà bisogno di aiuto esterno”, la dice lunga sul temuto effetto catena essendo la Spagna molto esposta verso l’economia e le banche portoghesi.
Le smentite non impediscono all’Eurogruppo, alla Commissione Ue e al Fondo per la stabilità finanziaria (che raccoglie il denaro sul mercato e lo presta in caso di necessità sulla base delle garanzie dei paesi europei) di essere pronti a nuovi scenari di emergenza. Solo che non lo dicono.
Poi c’è il caso del Belgio, paese con la crisi politica più lunga d’Europa, un governo in carica per gli affari correnti da oltre sette mesi. Con un debito/pil oltre il 100% e una divisione politico-territoriale che appare insanabile, si teme possa diventare il prossimo bersaglio. Per questo con un messaggio inusuale il re Alberto II ha chiesto al premier Yves Leterme di prevedere ulteriori sforzi di consolidamento del bilancio per quest’anno rispetto a quanto concordato con la Ue (deficit/pil al 4,1% contro il 6% nel 2010). Secondo il ministro delle finanze Didier Reynders il deficit pubblico dovrà essere ridotto di altri 2 miliardi di euro (0,4% del pil).
In questo quadro parte il cosiddetto ‘semestre europeo’: politiche economiche e di bilancio saranno definite nei loro termini generali e discusse a livello europeo prima che diventino decisioni definitive e leggi nei diversi paesi. E’ l’idea di un coordinamento stretto tra le scelte di bilancio e macroeconomiche per supplire all’assenza di un quadro federale di politica economica e di responsabilità fiscale. Mercoledì la Commissione europea presenterà la propria ‘griglia’ di principi per avviare il ‘semestre’. Entro giugno e luglio Commissione ed Ecofin si pronunceranno sulle strategia Ue e paese per paese, prima che i governi concludano la definizione delle ‘finanziarie’. Secondo il ministro dell’economia Giulio Tremonti si tratterà di “un colossale trasferimento di competenze, un punto cruciale sul piano politico”. Ciò perché, ha indicato il ministro al quotidiano francese Les Echos, “formalmente il potere resta nelle mani di ciascuno dei paesi, ma in realtà non sarà più sufficiente far adottare i bilanci e i programmi economici dai parlamenti. Sarà necessario l’avallo dei partner”.