Prove di ‘governance’ economica per evitare nuove crisi

Mentre la Grecia procede a piccoli passi verso la richiesta dei prestiti dei governi Eurozona e del Fondo monetario e sonda gli umori dei mercati con una nuova miniemissione di titoli pubblici per 1,5 miliardi di euro prevista il 20 aprile, i ministri finanziari dell'unione monetaria hanno compiuto un passettino verso un'idea di governo economico. Non ci sono dettagli precisi (e come si sa il diavolo sta sempre nei dettagli), ma è già qualcosa che l'Eurogruppo abbia espresso il sostegno alla Commissione europea per la definizione di proposte concrete per rafforzare il patto di stabilità (le regole per controllare i bilanci pubblici), estendere il coordinamento economico mettendo sotto sorveglianza gli squilibri interni ed esterni dei paesi membri e definire un meccanismo permanente di gestione delle crisi finanziarie di un paese Eurozona (su questo terzo aspetto non è stata fornita alcuna indicazione).

  In sostanza, si tratta di considerare fattori come la posizione competitiva (costo del lavoro, commercio), il livello dell'indebitamento privato, la formazione di 'bolle' finanziarie o immobiliari, determinanti ai fini della stabilità dell'intera Eurozona. Essendo gli squilibri macroeconomici il brodo di coltura delle crisi sistemiche (di un paese come di un'area economica integrata qual è l'Eurozona), su questi si deve intervenire prima che sia troppo tardi. C'è già una tabella di marcia: periodicamente all'Eurogruppo sarà allestita una sorta di 'processo' per cui sul 'banco degli imputati' compariranno i ministri di due paesi per volta mentre un terzo agirà da 'pm'. Si parte con Spagna e Finlandia, poi con Portogallo e Lussemburgo.
 Sul rafforzamento della disciplina di bilancio c'è un principio base sul quale sta lavorando la Commissione europea: integrare la dimensione europea nel processo di formazione del bilancio pubblico di ogni paese. Ciò significa che le scelte di bilancio devono essere soggette a un confronto a Bruxelles prima che sia confezionate e votate da governi e parlamenti nazionali.
  E' una vecchia idea che ogni tanto emerge e subito sprofonda in fondo all'elenco degli impegni politici. Uno dei 'padri' è il lussemburghese Juncker, premier e presidente dell'Eurogruppo, secondo il quale l'operazione è sensata solo se la discussione tra i ministri finanziari dell'Eurozona avviene "prima" che il progetto di bilancio entri nella procedura parlamentare. Se così non fosse, bisognerebbe archiviare il termine 'coordinamento' così abusato nelle istituzioni europee. Ma, al tempo stesso, bisognerebbe anche smetterla di prendersela con i greci: se non ci sono strumenti per obbligare un paese a non scaricare sugli altri gli effetti dei propri errori e dei propri squilibri come è possibile evitare i prestiti quando si avvicina lo spettro del fallimento?
  Come si vede, i margini sono piuttosto stretti: se non si vogliono altri casi Grecia, occorre prevenire. E la prevenzione di comportamenti irresponsabili di un paese membro dell'Eurozona comporta inevitabilmente un certo spostamento di sovranità verso l'Eurogruppo. Si tratta di una strada tutta in salita. Alla conferenza stampa finale dell'Eurogruppo il tranquillo commissario finlandese agli affari economici Rehn ha avuto un colpo d'ala quando ha ricordato che l'esecutivo europeo in questa materia userà pienamente il "potere di iniziativa" legislativa che il Trattato prevede. Non a caso Bruxelles vuol dare l'idea di non guardare in faccia a nessuno (in realtà prima di proporre ha voluto capire l'umore dei ministri in proposito). L'idea di definire preventivamente i confini delle politiche nazionali di bilancio oltre alla regola del 3% deficit/pil nella maggior parte dei casi spostata nel tempo, non piace ai più. Lo dimostra il fatto che i tanti appelli ai governi a preparare nel dettaglio (anche qui preventivamente) le strategie di riduzione dei deficit pubblici per il 2011 e il 2012, in modo da essere pronti ad attuarle quando la ripresa sarà più solida, sono letteralmente caduti nel vuoto (a parte in quei paesi che dovevano stringere la cinghia subito come Irlanda, Spagna, Grecia e Portogallo). E non a caso il viceministro delle finanze tedesche Joerg Asmussen ha ricordato chiaro e tondo che "l'autorità nazionale sul bilancio non deve subire limitazioni". In effetti, non tanto diversamente si pensa a Parigi o a Roma. Per ora la Commissione e Juncker devono accontentarsi dell'applauso del Financial Times che annuncia in un editoriale:"L'Europa evolve, ha imparato la lezione della crisi greca" (un altro nemico di una 'intrusione' europea negli affari di casa è, naturalmente, il governo britannico, qualsiasi governo britannico). Poi si vedrà.