A dir poco l'Eurozona è in chiaro stato confusionale: a una settimana dal vertice Ue in cui i capi di stato e di governo dovranno prendere una decisione sugli aiuti alla Grecia, nessuno ha la più pallida idea sul modo in cui andranno le cose. Manca ancora del tempo, si dirà. Ed è vero. In una settimana possono accadere tante cose e certo anche i mercati, nei quali piaccia o no si forgia la fiducia per poi riflettersi sui rendimenti dei titoli di stato, lo sanno. Le novità degli ultimi giorni sono tre. La prima è che il premier greco Papandreou ha gettato sul tavolo l'ultimatum: o a Bruxelles si deciderà qualcosa o telefono al Fondo monetario internazionale. Non è che Atene partirebbe da zero dal momento che già circola qualche cifra sull'eventuale prestito Fmi (8-10 miliardi di euro in tre anni) di cui le due parti avrebbero discusso negli ultimi giorni. La seconda novità è che a Berlino sembra si sia sbriciolato il muro del 'no al Fmi'. La terza più che una novità è una chiara, importante, conferma: la cancelliera Merkel è sempre più convinta che non ci sono spazi legali (né sulla base del Trattato Ue né sulla base dei dispositivi della Corte costituzionale tedesca) per un intervento preventivo a sostegno della Grecia come di nessun altro paese. E' questa convinzione, evidentemente rafforzata anche da valutazioni fondate sul piano giuridico, che ha portato allo sbriciolamento del 'muro' di cui sopra. E' presto, però, per trarre le conclusioni: la soluzione Fmi non piace al ministro delle finanze Schaueble, che sogna un Fondo monetario europeo e una nuova versione Eurozona in cui i paesi indisciplinati possano al limite esserne espulsi (cosa impossibile oggi). E' chiaro che nella Cdu tedesca le divisioni sono profonde almeno tanto quando sono profonde le divisioni nell'Eurozona.
Se ci fosse un rischio imminente di instabilità per l'euro la situazione sarebbe diversa. Il governo tedesco, infatti, ha l'obbligo giuridico di garantire la stabilità della moneta unica nella stessa misura in cui la garantiva al vecchio marco. Il problema è che è difficile dimostrare in termini giuridici se l'euro sta per crollare ed entrare in un ciclo ribassista oppure risene dei volatili umori del breve periodo. E, d'altra parte, nell'ultima asta di
titoli greci i famosi 'spread' (il differenziale con i corrispondenti titoli tedeschi che costituisce la misura del rischio paese) sono pure calati. Dunque aspettiamo, dice Berlino. Al limite, si può trovare un accordo sulle modalità di un aiuto (si tratta di prestiti bilaterali tra stati non si capisce se o senza 'cappello' comunitario, non si sa sulla base di quale ripartizione tra i paesi dell'Eurozona e non si sa a che prezzi per i greci), ma le decisioni saranno prese in un secondo tempo "se necessario". E, nella visione tedesca, oggi non è necessario (dal momento che i greci formalmente non hanno chiesto nulla) e non sarà necessario neppure domani. Così non carichiamo di aspettative il Vertice Ue del 25-26 marzo.
Era inevitabile che dopo aver scelto di temporeggiare, l'Eurogruppo avrebbe cominciato a sfaldarsi. Olanda e FFinlandia ritengono che non sarebbe assurdo per la Grecia rivolgersi al Fondo monetario internazionale. L'Italia ha fatto un passetto a favore: secondo il ministro Tremonti ci si potrebbe rivolgere al Fmi come banca che offre capitale e know-how (ed è quello che effettivamente fa sulla base, però, di strette condizioni sulle politiche di bilancio e strutturali che se non rispettate implicano lo stop dei finanziamenti). La Francia resta contraria e così la Bce. Fuori dall'Eurozona Svezia e Regno Unito avrebbero già scelto da tempo la via di Washington.
Il problema del Fondo monetario è abbastanza semplice. E' vero che c'è il paradosso di cui ha parlato recentemente Tremonti: i paesi europei ne sono i più forti finanziatori (se fossero uniti i soli membri dell'Eurozona insieme potrebbero pesare per il 19,3% delle quote di voto mentre gli Usa arrivano al 16,7%) e i primi a non volere ricorrere ai suoi servizi. Effettivamente un'assurdità. Ma è anche vero che una tale soluzione renderebbe evidente un fatto: l'unione monetaria europea non è in grado di assicurare stabilità al proprio interno. Sarebbe un brutto colpo politico sia per le relazioni tra i paesi membri che internazionali. Dopo, la credibilità dell'Eurozona in quanto tale sarebbe più drammaticamente più debole. Secondo problema: il fatto che gli Stati Uniti siano il più grande azionista (con la possibilità di esercitare un diritto di veto) può in teoria mettere a rischio l'indipendenza della Bce (visto che la Grecia fa parte dell'unione monetaria).