Tra il 1997 e la metà del 2007 la media del differenziale dei titoli pubblici decennali emessi dai governi Eurozona rispetto al corrispondente Bund tedesco (il parametro di riferimento) era di 18 punti base. Poi è scoppiata la crisi finanziaria, e la media è salita a 56 punti base da agosto 2007 e a 99 punti da ottobre 2008 a fine luglio 2009. Dalla scorsa primavera una buona parte del differenziale è stato compensato, ciononostante siamo lontani dai livelli pre-crisi. Ciò vale per l’Eurozona in quanto tale come per i singoli paesi a cominciare da quelli più deboli come Grecia e Irlanda, per i quali gli spread con il Bund nel corso della crisi si è allargato più che in tutti gli altri. Tuttavia la Grecia resta una eccezione negativa: nel Bollettino Bce di novembre si nota come la flessione dei differenziali delle obbligazioni sovrane dell’Eurozona rispetto alla Germania ha riguardato tutti i paesi tranne, appunto, la Grecia, che ha registrato un lieve aumento. Oggi il differenziale di rendimento tra i titoli di stato decennali italiani e i corrispondenti Bund tedeschi è di 72 punti base. Niente di paragonabile rispetto ai 172 punti base raggiunti il 23 gennaio 2009 (la Grecia stava a quota 300), ma anche molto lontano da zona 20 punti base nel periodo di stabilità pre-crisi.
Si tornerà presto ai livelli precedenti la grande botta dei mutui e delle follie bancarie? La risposta che fornisce un interessante studio della Direzione affari economici della Commissione europea (Determinants of intra-euro area government bond spreads during the financial crisis, S. Barroso, P. Iverseen, M. Lewandowska e R. Setzer) la risposta è no. Due i motivi. Il primo ha a che vedere con l’aumento dei costi sostenuti dai governi che emettono titoli dal settembre 2008: in una certa misura ciò dipende dalla correzione di differenziali molto contenuti che sono stati a livelli che si possono considerare “anormali” prima della crisi finanziaria, quando i fattori di rischio interni pesavano poco sugli spread. Il secondo motivo ha che vedere con l’indebitamento degli stati che è aumentato in misura significativa (a livello Eurozona e per alcuni paesi in particolare Italia compresa) e con gli oneri sostenuti per il salvataggio del settore finanziario.
In sostanza accade questo: nel corso della crisi finanziaria i fattori internazionali sono stati decisivi nell’aumentare il premio di rischio sui titoli decennali emessi dai governi. Il ruolo giocato dai fattori nazionali, dai deficit delle partite correnti all’esplosione del deficit pubblico all’alto livello di debito, è stato inferiore ma non marginale. I fattori nazionali sono diventati “via via più importanti quando gli investitori internazionali hanno cominciato a selezionare tra i vari paesi”. E’ così che i paesi con ampi deficit dei conti con l’estero (Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda) hanno visto aumentare gli spread di 11 punti base per ogni punto percentuale di peggioramento del deficit pubblico. Ciò perché possono trovare delle difficoltà a finanziare il debito in aumento non potendo contare sull’aggiustamento del cambio per spingere la crescita e aumentare la produttività. Così come l’avversione al rischio si è confermata una componente significativa dell’aumento degli spread per Francia, Belgio, Italia e Portogallo, ma è più evidente per gli ultimi tre paesi a causa dell’alto debito. Oggi questo fattore pesa proprio in relazione al ritorno ai livelli pre-crisi e nel momento in cui c’è un grande affollamento di emissioni di titoli per finanziare debiti pubblici andati alle stelle. L’ampiezza degli spread indica la posizione dei singoli paesi in cui è più alto il premio richiesto per investire nei titoli di stato a causa del rischio percepito: lo spread del titolo decennale greco rispetto al Bund è attualmente di 231 punti base, seguono Irlanda con 158, poi l’Italia con 72, il Portogallo con 62, l’Austria con 49, il Belgio con 48. E’ una tabella da tenere sempre a mente che va sempre aggiornata.