La svolta regolazionista in Europa si estende ora al settore primario, l'agricoltura. Ma non si parla di sussidi (che anzi diminuiscono nel tempo) quanto dei modi di funzionamento della 'filiera alimentare e anche di finanza, delle attività di copertura e di quelle eminentemente speculative. Sotto tiro sono anche i mercati dei derivati delle materie prime agricole. Da quando i prezzi (e le tasche dei consumatori) si sono infiammati tra la seconda metà del 2007 e l'inizio del 2008 i governi sono sul chi-va-là. Oggi l'inflazione non è un nemico in agguato, ma sono in molti a ritenere che quando la ripresa si sarà consolidata e il greggio ricomincerà a risalire sul serio, anche i prezzi delle materie prime agricole torneranno caldi. Anzi, bollenti. Qualche segnale di riscaldamento in questi giorni lo sta dando il ritorno degli investitori sulle materie prime comprese quelle agricole come alternative al dollaro.
Non lo si è mai detto apertamente, invece di speculazione eccessiva ci si limita a parlare di "estrema volatilità" dei prezzi, ma la sostanza non cambia poi molto. L'aumento folle dei prezzi di due anni fa (la volatilità del prezzo del grano macinato arrivò al 44%, quella del seme di colza superò il 30%, su livelli elevati anche quella di diversi altri tipi di cereali, soya e prodotti derivati) alimentò ulteriormente il rischio di inflazione fuori controllo (era già arroventata dal greggio), provocò allarmi e proteste per la tortuosità della catena alimentare visto che il costo dei prodotti agricoli pesa solo per un quinto nel prezzo finale al consumo. La conclusione della Commissione europea è che l'aumento dei prezzi dall'inizio del 2007 alla metà del 2008 dipese da fattori strutturali di domanda e offerta, ma anche da "fattori specifici dei mercati finanziari che possono aver amplificato i cambiamenti dei prezzi". Al primo posto, Bruxelles mette la mancanza di trasparenza dei mercati, il rapporto di forza sproporzionato tra produttori, industria e distribuzione, le pratiche anticoncorrenziali. Tutto ciò fa sì che i prezzi di uno stesso prodotto in Europa varii in misura enorme, fino al 70% per l'acqua minerale (un vero record). E poi 58% per il pane bianco, 49% per le uova, 48% per la crema gelato, 48% pour la crema gelato, 44% per la carne di manzo tritata. Bruxelles ha indicato diverse misure: sorveglianza stretta di prodotti e catene alimentari dall'estate 2010, 'caccia' alle pratiche sleali, vigilanza sui prezzi comparati i cui risultati devono essere pubblicizzati anche via internet. Poi c'è la finanza. Bruxelles sostiene che "se un minimo grado di volatilità è necessaria ai mercati 'future' per funzionare, una volatilità molto alta è in grado di destabilizzarli". E ciò inevitabilmente accade se i prezzi
non sono prevedibili. I principali mercati delle materie prime agricole si trovano negli Stati Uniti, là dove il Chicago Mercantile Exchange è il punto di riferimento specialmente per grano e mais. Nella Ue gli scambi sono molto meno attivi e i mercati 'future' sono una novità relativamente recente. Negli ultimi anni le varie riforme della politica agricola comune hanno ridotto i prezzi garantiti e ciò ha spinto i 'trader' a usare sempre più gli strumenti per la copertura dei rischi e la segnalazione dei prezzi. I maggiori contratti vengono scambiati a Euronext a Londra (cacao, caffè, zucchero, grano) e Parigi (grano macinato, seme di colza, mais), seguono i mercati 'future' tedesco (maiale e patate) e spagnolo (olio d'oliva).
Bruxelles non vuole demonizzare la finanza, ma arriva a una conclusione netta: i prodotti finanziari derivati possono essere uno strumento importante per fronteggiare la volatilità dei prezzi delle materie prime a patto che servano per 'scoprire', segnalare i prezzi e per la copertura. Gli eccessi speculativi, invece, vanno imbrigliati. Di qui tre proposte. La prima è estendere gli obblighi di 'reporting' a tutti i derivati agricoli compresi quelli trattati in sedi non regolate. Gli obblighi di trasparenza previste dalle norme Ue sui servizi finanziari
non si applicano, infatti, agli strumenti finanziari compresi i derivati delle materie prime. La seconda proposta è obbligare tutte le categorie di 'trader' a informare sulle loro posizioni (negli Usa tale obbligo esiste e l'informazione viene pubblicata ogni settimana per i maggiori derivati (future e opzioni). E' la condizione
indispensabile per permettere alle autorità di supervisione di valutare il ruolo di una eccessiva concentrazione di posizioni speculative e dei 'trader' non commerciali (hedge funds, fondi pensione). Infine, dare ai regolatori la possibilità di definire limiti alle posizioni per fronteggiare movimenti dei prezzi sproporzionati o la
concentrazione di posizioni speculative. Si tratterebbe di porre dei 'tetti' al numero dei contratti derivati aperti detenuti dai 'trader'.