Ancora sul Barroso bis, che non è ancora nato (a parte la conferma del presidente) e già è oggetto di grande attenzione. Apparentemente tutto tace però, mentre nelle stanze che contano si fanno gli scongiuri per il referendum irlandese sul Trattato di Lisbona nella speranza che questa volta passi, nei corridoi dei palazzi comunitari si compilano le liste dei commissari in uscita e dei commissari in entrata. Il passaggio dalla vecchia alla nuova Commissione sarà lungo e molti danno per scontato anche un prolungamento del mandato dell’attuale Commissione nell’ipotesi.
Il Barroso 1 scade il 31 ottobre, oltre al referendum irlandese c’è il caso ceco e il caso polacco: i due paesi non hanno ancora ratificato il nuovo Trattato.
Il calendario ha scadenze ravvicinate e tiene conto anche di alcune importantissime variabili politiche che influenzeranno a cascata anche le scelte europee che riguardano da vicino la Commissione e non solo la scelta dei commissari chiave. In primo luogo il 27 settembre le elezioni in Germania. Il 2 ottobre ci sarà il referendum in Irlanda: se passerà il sì cambiera’ molto nell’Unione europea, la Commissione avrà 27 membri (uno per paese), ci sarà il presidente fisso della Ue, ci sarà un ministro degli esteri (sempre sotto l’occhio vigilassimo dei governi nazionali), il Parlamento avrà piu’ poteri, il Consiglio prenderà più decisioni a maggioranza. Al di là degli entusiasmi di maniera sulla carta il livello comunitario potrebbe avere un’impronta più marcata, in netta controtendenza con la spinta a rafforzare il livello intergovernativo. Ciò significa che almeno in teoria sono possibili novità per esempio su un più strutturato coordinamento delle politiche economiche.
In ottobre, subito dopo il referendum irlandese, i negoziati sui nuovi commissari e il profilo dell’esecutivo emergeranno alla luce del sole. Il 29-30 ottobre i capi di stato e di governo dovranno concordare le due nomine chiave: presidente fisso della Ue e ministro degli esteri. A quel punto Jose’ Barroso si presentera’ all’Europarlamento e lì ci sarà la sfilata dei 27 commissari (in parte nuovi in parte vecchi). In molti la temono perchè gli eurodeputati sono terribili con chi si presenta impreparato, scivola su una buccia di banana, fa una gaffe politica imprevedibile a tavolino (del caso Buttiglione scivolato sugli omosessuali si ricordano tutti).
E veniamo al “chi”, aspetto affatto secondario dal momento che i commissari europei hanno un potere esteso (anche legale) sulle politiche dei vari paesi: antitrust, mercato interno, telecomunicazioni, commercio, ambiente, agricoltura, immigrazione (con il nuovo Trattato), affari economici per citarne solo alcuni.
La novita’ degli ultimi è una sibillina dichiarazione dell’olandese Neelie Kroes (la signora di ferro della concorrenza) che a un giornale belga ha detto su un possibile secondo mandato: “Aspettiamo di vedere come si evolvono le cose”. Si farebbe dunque strada l’idea di non cambiare il manovratore dell’antitrust in un momento così delicato per banche e dintorni. Addio al superliberista mai pentito McCreevy (irlandese), Parigi punta al mercato interno con Barnier (fedelissimo di Sarkozy), la Romania punta all’agricoltura, il Belgio punta a un portafoglio di medio calibro come l’energia, ma sogna anche il commercio (calibro grosso). Il negoziato sarà molto difficile sul nuovo commissario all’immigrazione: qui l’Italia sicuramente si farà sentire visto che è sotto tiro per i ‘respingimenti’ in mare. Proprio per l’Italia finora non è emersa alcuna novitè: a Bruxelles Antonio Tajani viene dato per vincente per il secondo mandato ai Trasporti. Un po’ di tempo fa si è parlato di un arricchimento del portafoglio all’intera politica dei trasporti, auto compresa, per quel che concerne le strategie industriali. Poi non se ne è saputo più nulla, ma il problema per Barroso non è quello di accorpare le competenze quanto quello di distribuire 27 portafogli. Una novità di cui si parla nei famosi corridoi è lo sdoppiamento del portafoglio del mercato interno: finanza da una parte, il resto dall’altra. Per l’economia, la barra del timone dovrebbe restare in mano allo spagnolo Joaquin Almunia.
Quanto al presidente permanente della Ue, l’astro Blair è via via impallidito (stinta la sua prestazione sugli affari mediorientali, e poi può avere un tale ruolo un britannico con il Regno Unito che sta fuori dall’Eurozona?) mentre sale la candidatura dello spagnolo Felipe Gonzalez. Il posto di ministro degli esteri è accarezzato dalla Svezia che chiede un portafoglio “primario” dopo la deludente esperienza di Wallstrom, prima vicepresidente della Commissione in uscita, che si è fatta risucchiare nella comunicazione restando di fatto politicamente marginalizzata. In pista c’è Carl Bildt con una controindicazione: secondo Nicolas Sarkozy è troppo filoturco.