Il fatto che negli Stati Uniti si discuta di un secondo pacchetto di stimolo all’economia non cambia la decisione europea di tenere sprangata quella porta. Non c’è solo la Germania a dire no a nuovi impegni di bilancio a sostegno dell’economia. Nelle ultime settimane non c’è stata occasione in cui ministri dell’economia o primi ministri non abbiano ripetuto che una nuova ondata di misure fiscali non è alle viste. Banalmente pragmatico il motivo: i governi non hanno ancora speso tutto quello che hanno stanziato. La Francia per esempio ha speso circa metà di quanto previsto, principalmente in crediti di imposta alle imprese, sgravi per piccole e medie imprese. Entro dicembre ne spenderà un altro 25% per finanziare infrastrutture pubbliche. In Germania la maggior parte dei 13 miliardi di euro stanziati nel pacchetto di stimoli all’economia impegnati per progetti di investimenti pubblici non è stato praticamente toccato.
Tre le ragioni di questa riluttanza. La prima è che i fondi stanziati vanno ancora tutti spesi e si tratta di interventi per lo più a effetto ritardato. La seconda è che nessun paese (Germania in testa ma anche Francia e Italia per non parlare del fronte debole Grecia-Portogallo-Irlanda) ha interesse ad incrementare ancora di più i deficit pubblici: maggiore indebitamento oggi implica maggiori probabilità domani di imposte più alte (prospettiva dall’effetto depressivo per i consumatori) e rischi per la valutazione dei mercati sulla capacità dei paesi più deboli o che hanno un debito pubblico elevato (come l’Italia) di ripagare i debiti. La terza ragione è la speranza che prima o poi il sostegno alle banche si tramuti in credito fluente all’economia reale. Ce ne sono tutti i presupposti, ma lo scatto ancora non c’è.
Il fatto che i governi europei mantengano questa linea nonostante esistano dei rischi che lo scenario migliore (ripresa a partire da fine anno) non si realizzi, significa che prevale la visione del bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Speriamo abbiano ragione. La Commissione europea ha appena sfornato un ponderoso studio che analizza l’impatto delle misure anti-crisi dei governi e la conclusione è nettamente ottimistica, alla faccia di quelli che continuano a criticare la Ue per mancanza di iniziativa: "I risultati preliminari sono incoraggianti, è stato costruito un pavimento al collasso economico". Più in fondo non si può cadere. E’ un fatto che quel pavimento sta tenendo da oltre due mesi. Piuttosto Bruxelles cerca di capire come sarà l’economia europea post-crisi e la vede complessivamente più debole e con grandi, grandissime differenze tra paese e paese: chi aveva buone posizioni competitive prima della crisi si troverà avvantaggiato perché le misure contro la recessione le hanno salvaguardate; chi stava nei guai prima, avrà una posizione competitiva debole anche successivamente dati la specializzazione produttiva, il tasso di cambio reale, il livello di spesa in ricerca e sviluppo, l’efficacia delle infrastrutture, i margini di manovra del bilancio pubblico. Sono conclusioni banali, che però è sempre meglio tenere a mente per non perdere il senso della realtà. Scarica RAPPORTO UE