La soluzione americana di sottoporre le grandi banche a un
'megastress test' e di pubblicarne l'esito non sarà seguita
dai governi europei. La Germania ha forti dubbi, a quanto
pare la Francia e diversi paesi dell'Est pure, così si
continua a procedere ognun per sè anche se in Europa ci sono
circa 45 gruppi transfrontalieri che rappresentano due terzi
degli asset bancari complessivi. Il motivo della resistenza
tedesca ha un nome: paura. Paura che i risultati possano
essere intesi dai mercati come l'anticamera di un disastro.
Lo ha spiegato senza mezzi termini il ministro tedesco
Steinbrueck: "Dobbiamo stare attenti a che i test non
finiscano per aggravare la crisi a causa del modo in cui i
risultati sono rivelati al pubblico". C'è però un motivo più
di fondo che spiega perchè si procede in ordine sparso: non
c'è un sistema di supervisione a livello europeo che possa
assumersi una responsabilità operativa e soprattutto non c'è
un'autorità corrispondente che si assuma la responsabilità
politico-istituzionale di un intervento di soccorso, non
l'Ecofin e nemmeno l'Eurogruppo che resta un organismo
informale. Ciò perchè non c'è un accordo tra i 27 governi
per un quadro fiscale comune nel caso si debba sostenere una
banca con attività transfrontaliere di rilevanza sistemica
sull'orlo del fallimento. Senza una volontà politica in
questa direzione (che implica uno spostamento di sovranità)
non è possibile centralizzare quasi nulla.
In mancanza di tutto questo si procede per piccoli passi:
nell'ultima riunione Ecofin i ministri del Tesoro hanno
discusso segretamente della necessità di scrivere un manuale
comune per i test di crisi che vengono già fatti da tempo in
vari paesi (Italia compresa). Obiettivo: uniformare i
presupposti del test (scenario di crescita, reazione dei
prezzi compresi immobiliare e asset finanziari) e gli
obiettivi (effetti sul portafoglio crediti, riserve,
eccetera). Il Cebs, organismo europeo che raggruppa i
supervisori bancari, preparerà entro settembre delle linee
guida che saranno discusse dall'Ecofin informale.
Per il resto ogni paese pensa al proprio mercato
utilizzando con il contagocce gli schemi governativi per le
ricapitalizzazioni bancarie e le varie indicazioni sulla
gestione degli asset tossici e deteriorati. Un lavoro
lentissimo nonostante sia ormai assodato che le banche
europee hanno bisogno di più capitale di quelle americane.
Ciò rimanda alla questione principale: la supervisione
bancaria è un cantiere appena aperto e aperto resterà a
lungo. Nel frattempo va avanti il lavoro sulle nuove regole
finanziarie. Il parlamento europeo ha appena approvato le
norme sui requisiti di capitale, in base alle quali le
banche dovranno detenere almeno il 5% dei titoli
cartolarizzati che vendono (entreranno in vigore a fine
2010). Nuove norme per le assicurazioni rafforzano la
cooperazione tra supervisori, ma non riconoscono al
supervisore della capogruppo un ruolo leader (entreranno in
vigore il primo novembre 2012). La sola misura che sarà
concretizzata a breve, fra sei mesi, riguarda la
registrazione e il controllo delle agenzie di rating. A fine
mese la Commissione europea presenterà le proposte
legislative per la supervisione finanziaria fondata su due
pilastri: un consiglio per il rischio sistemico (ruolo
centrale Bce) e un sistema europeo di supervisori
finanziari. C'è l'impegno a decidere entro fine 2010 (il che
significherebbe far entrare in vigore il nuovo sistema un
paio di anni più tardi), ma i segnali non sono
incoraggianti: la frenata di Londra, che teme lo
spiazzamento della City e la perdita di ruolo come
supervisore nazionale, gioca contro decisioni rapide. Così
si rischia di creare una situazione paradossale: si
rafforzano le regole del mercato finanziario senza fare
passi avanti altrettanto rapidi nel sistema di supervisione.
Sarebbe assurdo che sull'onda di un frettoloso ottimismo,
tra economia reale e Borse, si appanni il senso di urgenza.