LETTERA DA BRUXELLES Pressing su Juncker per nuove regole bilanci, il Pse annuncia aperture

Secondo fonti europarlamentari il commissario francese agli affari economici Pierre Moscovici si appresterebbe a presentare delle indicazioni/riflessioni su nuove ipotesi per valutare la spesa per gli investimenti pubblici ai fini della valutazione del consolidamento dei bilanci. Non si tratterebbe di una secca ‘golden rule’, cioè dello scorporo di tali spese dal calcolo del deficit, ma si tratterebbe pur sempre dell’apertura di spazi più ampi nell’uso del bilancio. L’idea è lanciare una discussione alla luce del sole riservandosi di arrivare a una proposta compiuta all’inizio del 2015. Sulla questione c’è massima riservatezza, non c’è alcuna conferma da parte della Commissione. La cosa certa è che qualcosa in tale direzione si sta muovendo anche se le bocche a Palazzo Berlaymont sono cucite a filo doppio. Il capogruppo parlamentare del Pse Gianni Pittella ha già indicato comunque che nel corso delle discussioni sul piano da 300 miliardi da parte di Jean Claude Juncker “un’apertura” sulla valutazione degli investimenti negli ultimi giorni c’è stata. La cosa certa è che alcuni governi, in primo luogo quelli di Italia e Francia, lo spazio per gli investimenti nelle regole di bilancio va trovato. Urgentemente. La pressione sulla Commissione è piuttosto forte anche se l’Eurogruppo è ben lontano da una visione comune.

E’ noto che la ‘golden rule’ ha sempre trovato una netta opposizione tedesca e non solo. Più volte nel corso della crisi del debito sovrano e della recessione in Parlamento alcuni gruppi politici (sinistra e verdi) hanno cercato di fare breccia senza riuscirci. La Commissione Barroso ha sempre lavorato ai margini per trovare degli spazi di manovra allo scopo di ammorbidire il rigore di bilancio senza ottenere risultati sostanziali anche se più volte è stato concesso a diversi governi di più tempo per raggiungere gli obiettivi di bilancio (grande beneficiaria la Francia). Non è stato comunque sufficiente a trovare un equilibrio sostenibile (sia dal punto di vista economico che sociale e politico) tra austerità e politiche anti-cicliche pro crescita. Poi ci sono stati gli affondi dei mesi scorsi da parte italiana e francese fino ad arrivare alle pressioni di oggi nella consapevolezza che va evitata una stagnazione di lungo periodo se non una chiara situazione di deflazione.

Un anno e mezzo fa l’allora commissario agli affari economici Olli Rehn aveva scritto ai ministri finanziari una lettera nella quale indicava come avrebbe valutato la questione. L’interpretazione delle regole di bilancio lascia alla Commissione dei margini di manovra: visto che i ministri non riuscivano a trovare un minimo comune denominatore, Rehn, che certo non era un ‘cuor di leone’, decise di esporsi subendo immediatamente i rimbrotti del fronte rigorista. Sarebbero state permesse deviazioni temporanee dagli obiettivi di bilancio di medio termine (il pareggio o la prossimità al pareggio) in tre casi: crescita economica negativa o molto al di sotto del potenziale; la deviazione non comporta un deficit/pil in termini nominali sopra il 3% e la regola del debito viene rispettata; la deviazione “è legata alla spesa nazionale per progetti co-finanziati dalla Ue nel quadro della politica di coesione, dei progetti infrastrutturali europei e il programma ‘connecting Europe’ (progetti per la diffusione della banda larga – ndr) con effetto di lungo termine positivo, diretto e verificabile sul bilancio”. Il contesto che permetteva questa flessibilità era riferito alle condizioni di allora e cioè a una differenza negativa molto ampia tra crescita effettiva e crescita potenziale (come accade in Italia).

Per mesi si parlò di questa possibilità. Il governo Letta ci aveva fatto la bocca per poi scoprire che, se voleva ottenere uno ‘sconto’ di 4-5 miliardi di spesa per investimenti in progetti co-finanziati, avrebbe dovuto tagliare le spese nella stessa misura per rispettare le condizioni sopra indicate. Non se ne fece nulla così come non se ne fece nulla per un gruppetto di altri paesi.

Alla base delle mosse che la Commissione potrebbe promuovere oggi c’è l’indicazione contenuta nel ‘rapporto per una profonda e genuina unione economica e monetaria” che risale a due anni fa. Si affermava la necessità di “esplorare ulteriormente strade per favorire i programmi di investimento nella valutazione dei programmi di stabilità e convergenza. Specificatamente, sulla base di certe condizioni, programmi di investimenti pubblici straordinari con un impatto verificabile sulla sostenibilità delle finanze pubbliche potrebbero essere tenuti in conto per una deviazione temporanea dall’obiettivo di bilancio a medio termine o dal percorso di aggiustamento”.

Si capirà lunedì in che modo e in quale misura la Commissione userà la flessibilità prevista dalle regole del patto di stabilità. Una cosa è chiara: non si farà ricorso alla regola generale per cui saranno permesse le famose “deviazioni” per dare più tempo ai paesi per portare il deficit verso quota zero, frenare o addirittura sospendere la regola del debito, a causa di una recessione generalizzata per la semplice ragione che nella Ue e nell’Eurozona nel 2015 si prevede una crescita positiva. Uno dei riferimenti per valutare le politiche di bilancio degli Stati che si trovano sotto procedura europea è il regolamento 1467/97, uno dei pilastri della ‘governance’ economica: ammette la possibilità di dare più tempo per raggiungere i target “in caso di severa contrazione dell’economia nell’Eurozona o nella Ue” a patto che ciò non danneggi la sostenibilità dei conti pubblici nel medio termine. Si tratta di una eventualità “eccezionale – spiega la Commissione europea – da usare solo nella più inusuale delle circostanze”. E’ legittimo chiedersi se ha senso riferirsi soltanto a una “severa contrazione dell’economia” (nel testo in inglese ‘severe economic downturn’) e non si dovrebbe invece prevedere una casistica più onnicomprensiva, che includa situazioni diverse dalla classica recessione ma che comportano effetti altrettanto rischiosi e drammatici come una lunga fase di stagnazione o di evidenti segnali di deflazione. Cioè le caratteristiche della fase attuale.

Sono argomenti che nei mesi scorsi sono emersi dai cassetti più volte e nei cassetti sono tornati in attesa di tempi migliori. Forse adesso potranno trovare una ‘audience’ migliore.