LETTERA DA BRUXELLES Troika sulla ‘graticola’ dell’Europarlamento

E’ paradossale che la fase piu’ interessante del dibattito pubblico sulla Troika, all’Europarlamento nella prima parte della settimana, si svolga quando cominciano a diminuire gli Stati sotto salvataggio e stretto controllo ‘esterno’ (Irlanda e Spagna hanno concluso la fase del salvataggio finanziario). Ma è inevitabile che cio’ accada: senza la pressione dei mercati finanziari, e’ piu’ facile passare in rassegna errori, omissioni, sottovalutazioni dell’impatto economico e anche politico-sociale delle misure faticosamente contrattate con i governi greco, irlandese, portoghese, cipriota, spagnolo. Per dimostrare che le strategie seguite sono fondate su basi solide, la Commissione europea ha pubblicato uno studio dei suoi economisti per insistere su un punto: non solo le riforme economiche strutturali erano giuste prima, ma vanno continuate adesso e dopo evitare che nei prossimi dieci anni lo standard di vita dei cittadini europei si riduca nettamente. Non pronostica un periodo di “stagnazione secolare” se non ci saranno azioni decise, ma quasi.



 Partiamo dagli appuntamenti politici: si comincia lunedi’ pomeriggio a Strasburgo con l’audizione di Olli Rehn alla commissione affari economici e monetari, si prosegue martedi’ con l’ex presidente Bce Jean-Claude Trichet, mercoledi’ tocca al direttore dell’European Stability Mechanism Klaus Regling. Poi i deputati tireranno le loro conclusioni anche sulla scorta delle risposte ricevute dai vertici della Troika (Commissione, Bce e Fmi) al questionario inviato a fine 2013 e del recente viaggio della delegazione di deputati nei paesi sotto salvataggio (ultima tappa il 16-17 in Irlanda). Stando alle indiscrezioni, sicuramente i deputati europei punteranno il dito sull’eccessivo ottimismo nella valutazione dell’impatto delle misure di bilancio e di riforma economica sulla crescita (critica diretta della strategia della cosiddetta “austerita’ espansiva”), sullo scarso margine di manovra lasciato ai paesi in questione, sul possibile conflitto di interessi della Bce. Il Parlamento si e’ chiesto, per esempio, se puo’ esserci un conflitto tra la funzione della Bce in quanto creditore del sistema bancario e la sua partecipazione alla Troika che definisce a livello tecnico misure che coinvolgono anche gli istituti di credito. La risposta della Bce e’ stata secca: no. Nel documento che uscira’ dalla discussione dovrebbe comunque essere chiaro il riconoscimento del particolare contesto in cui Eurozona, Bce e Fmi hanno agito, sotto i colpi dei mercati finanziari, la sfiducia sulla capacita’ di fronteggiare una situazione pre o totalmente fallimentare, il rischio (effettivo) di rottura dell’unione monetaria.
  La linea del commissario agli affari economici Olli Rehn (liberale finlandese in corsa per sostituire Jose’ Barroso alla guida dell’esecutivo europeo) è fare quadrato: le sue risposte al questionario del parlamento sono all’insegna dell’ormai famoso ‘TINA’, there is no alternative’, non ci sono (state) alternative. ‘TINA’ e’ lo slogan degli anni ’80 spesso usato da Margaret Thatcher per riferirsi all’inevitabilita’ di politiche neoliberistiche per garantire lo sviluppo dell’economia e un benessere diffuso (le risposte della Be sono sulla stessa linea). Nell’ultimo Bollettino economico sull’Eurozona, la Commissione non solo fa indirettamente proprio lo slogan, ma ne proietta le virtu’ nel prossimo decennio lanciando un vero e proprio allarme: se non saranno proseguite e approfondite le riforme strutturali per migliorare la crescita potenziale (mercato del lavoro, concorrenza, rafforzamento delle competenze professionali, sistemi fiscali, aumento della partecipazione al lavoro, riduzione della “generosita’ dei sostegni alla disoccupazione), se non viene allentato lo slancio perche’ le tensioni sui mercati sono finite e si respira un’aria semieuforica per la riduzione degli spread dei paesi assistiti e in quelli vulnerabili (l’Italia), il risultato sara’ che nei prossimi dieci anni il livello di benessere nell’Eurozona si erodera’, si ridurra’ sensibilmente.
 Se si prendono come paragone gli Stati Uniti, lo standard di vita degli europei, scrivono gli economisti di Bruxelles, potrebbe essere inferiore del 40%. Per quanto riguarda il divario Eurozona-Usa si tornerebbe indietro di 40 anni (il calcolo viene fatto retrospettivamente mettendo insieme i paesi dell’unione monetaria), i livelli di crescita pro-capite potrebbero ridursi di mezzo punto percentuale nei prossimi dieci anni, da una media annuale dell’1,6% a meno dell’1%. Inoltre, “senza la prosecuzione delle riforme il tasso di disoccupazione risultera’ piu’ alto che nel periodo pre-crisi”. La comparazione con gli Usa indica che non solo la crescita americana è stata meno danneggiata dalla crisi finanziaria rispetto all’Eurozona, ma anche che gli Stati Uniti ne stanno emergendo con una posizione piu’ forte. Stando alle proiezioni degli economisti della Commissione, a bocce ferme l’Eurozona dovrebbe impiegare una quindicina d’anni per tornare ai livelli di crescita potenziale del periodo pre-crisi. La conclusione e’ che senza interventi il declino strutturale del tasso di crescita dell’Eurozona degli ultimi 15-20 anni (cominciato quindi ben prima dell’ultima grande crisi) continuera’: i bassi risultati di crescita “rifletteranno essenzialmente il peso dei deboli cicli pre-crisi in particolare per quanto riguarda la produttivita’ totale dei fattori” (misura la crescita nel valore aggiunto attribuibile al progresso tecnico, a miglioramenti nella conoscenza e nell'efficienza dei processi produttivi). Tale debolezza e’ aggravata dagli effetti della crisi finanziaria sulle imprese e sui bilanci pubblici e dal progressivo invecchiamento della popolazione.
  Simulando una ventata di riforme strutturali permanenti, gli economisti della Commissione indicano che il loro effetto potenziale potrebbe essere un incremento del pil dell’Eurozona del 6% dopo dieci anni. Ottimo risultato. Poi pero’ tirano il freno sulle aspettative, rilevando che introdurre tali riforme “puo’ richiedere piu’ tempo” di quanto previsto, che si rischia di sovrastimare la rapidita’ con cui la riforma dei sistemi fiscali (in senso piu’ favorevole alla crescita economica) puo’ avere nel breve termine sull’economia con “una domanda depressa e condizioni restrittive del credito”. Inoltre alcune riforme, quelle dei sistemi educativi per esempio, comportano costi oggi non calcolabili per cui il risultato in termini di impatto macroeconomico potrebbe risultare piu’ limitato. Conclusioni: meglio non prendere le simulazioni per oro colato.