Bruxelles non crede al ‘default’ greco, ma c’è grande allarme

Eurogruppo e Commissione europea dicono di non credere alla possibilità di un 'default', di una bancarotta dello stato greco, ma fanno gli scongiuri e confermano che "la difficoltà di un paese dell'eurozona è motivo di preoccupazione comune" per tutti gli stati che ne fanno parte. Il meno pessimista è il presidente della Bundesbank Axel Weber, secondo cui la Grecia non avrebbe neppure bisogno dell'intervento del Fmi.  L'indicazione del commissario Ue Joaquin Almunia, con la quale la Commissione europea ha confermato di aspettarsi per gennaio un nuovo pacchetto di misure di bilancio che avvii seriamente il consolidamento dei conti pubblici a tappe forzate, era necessaria per far vedere ai mercati che a Bruxelles, tra Commissione ed Eurogruppo, esiste qualcosa di simile a una 'cabina di pilotaggio’ della crisi greca, ma testimonia in realtà una cosa semplicissima: la Ue non ha molti strumenti per intervenire a breve termine in una situazione del genere.

 Il Trattato europeo, infatti, esclude la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra facilitazione creditizia da parte della Bce o di altre banche centrali così come l'acquisto diretto di titoli di debito. Viene previsto un sostegno in caso di difficoltà nella bilancia dei pagamenti, impossibile però se si fa parte dell'unione monetaria (ne hanno beneficiato quest'anno Lettonia e Romania). Gli 'sportelli’ europei sono aperti nel settore degli aiuti di stato, ma non è di questo che la Grecia ha bisogno in misura superiore a quanto già avvenuto per ristabilire la fiducia nella capacità del governo di fronteggiare la situazione. L'unica cosa che possono fare l'Eurogruppo e Bruxelles è spingere il governo greco a rafforzare il più possibile un piano di consolidamento delle finanze pubbliche che diano risposte a breve e a medio termine alle preoccupazioni sull'affidabilità complessiva dell'azione pubblica. Evitando che si profilino disastri al momento delle future emissioni di titoli pubblici greci. Ha fatto una ottima impressione il neoministro delle Finanze Georges Papaconstantinu all'ultima riunione dell'Eurogruppo a Bruxelles, inglese fluente, serietà nell'impostare il piano di consolidamento. Non è stato sufficiente a superare il muro di diffidenza e di totale discredito in cui è precipitata la Grecia. Basta solo ricordare che il nuovo governo del socialista Georges Papandreu ha trovato un deficit/pil doppio rispetto a quanto dichiarato dal precedente a quota 12,7% quest'anno e che solo in gennaio veniva dato a quota 3,7%.  Ora Eurostat ha aperto un dossier Grecia dal momento che i dati affluiti da Atene si sono dimostrati completamente fasulli mettendo a repentaglio la credibilità dello stesso istituto europeo di statistica. A Lussemburgo (dove ha sede Eurostat) se lo sentivano: due mesi fa avevano espresso una "riserva generale" su dati consegnati dalle autorità greche.
Con il senno di poi si può dire che la crisi greca era già scritta in decine di documenti e analisi. Basta scorrere l'ultima raccomandazione della Commissione europea sottoposta all'Ecofin per accorgersi di tre cose: gli squilibri di bilancio sono stati alti e persistenti "per molti anni nonostante l'attività economica fino al 2008 sia stata vivace", le finanze pubbliche sono peggiorate "molto oltre quanto ci si sarebbe aspettato in relazione alla recessione e dipendono in gran parte dalle politiche attuate dal governo" che, ecco il terzo punto, "non ha risposto" alle raccomandazioni europee di riportare ordine nei conti pubblici. È per questo che oggi Atene si trova sotto tiro della Ue. Il problema è che la semplice stretta della vigilanza secondo le regole del patto di stabilità non sono in grado di cementare la fiducia dei mercati e della agenzie di rating. La palla è tutta in mano al governo greco. Il consiglio di Bruxelles è "fare come in Irlanda", paese fino a poco tempo fa considerato una 'tigre’ dell'economia finanziarizzata e globalizzata oggi, modello travolto dalla crisi e ora additato come esempio perchè sta stringendo le corde del bilancio con il rischio di alimentare forti tensioni sociali. Proprio oggi il governo di Dublino ha annunciato nuove misure di austerità per limitare il deficit al 12% l'anno prossimo. Devono essere risparmiati 4 miliardi di euro, somma colossale per un paese di quattro milioni e mezzo di abitanti. Riduzione dei salari pubblici, delle prestazioni sociali, aumenti di imposte (tassa sulle emissioni di Co2, sul reddito delle fasce più ricche della popolazione). Quest'anno il pil dovrebbe scendere a quota -7,5%, le entrate fiscali continuano a calare, lo stato deve chiedere in prestito ogni settimana oltre 400 milioni di euro. Anche sull'Irlanda è calata la scure delle agenzie di rating che hanno tolto il paese dal 'club' della tripla A.