LETTERA DA BRUXELLES Supercommissario ai bilanci, i paradossi della proposta tedesca

Quanto potere ha la Commissione europea nella disciplina di bilancio dei paesi europei e, in particolare, dell’Eurozona? La domanda non è peregrina dal momento che adesso è la Germania a volere un supercommissario agli affari economici e monetari addirittura con il potere di respingere le ‘finanziarie’ nazionali. Il caso ha squadernato un paradosso dietro l’altro. Il primo riguarda il governo tedesco, che non prende una decisione sulla crisi del debito sovrano se non ha l’autorizzazione del Bundestag, figuriamoci se il Bundestag si lascia sfuggire di mano la sovranità sul bilancio. Il secondo riguarda la Commissione europea: ha reagito con un laconico ‘no grazie’.


Solo in parte l’idea di Schaueble, sostenuta apertamente dalla cancelliera Merkel, è stata il classico rialzo al tavolo dell’ultima riunione dei capi di stato e governo per uscire dalla stretta negoziale sulla conferma degli impegni per la supervisione bancaria Bce. L’obiettivo tedesco è accelerare l’istituzione di un quadro ‘perfetto’ di regole del coordinamento di bilancio nell’Eurozona in modo che non possa scappare più un caso Grecia, che governi e parlamenti nazionali (soprattutto questi ultimi) assumano fin dall’inizio del processo di formazione dei bilanci nazionali (dunque nel corso del processo pattizio sugli equilibri sociali e politici che nelle finanziarie si riflettono) gli obiettivi delle disciplina secondoi fatidici confini di Maastricht riveduti, corretti e arricchiti. Solo in presenza di questo quadro, quindi di nuovi poteri accentrati a Bruxelles, la Germania potrà in futuro schiudere la porta alla prospettiva di dotare l’Eurozona di una ‘capacità finanziaria’ autonoma, che secondo alcuni dovrà essere un fondo ad hoc (ipotesi accarezzata dai tedeschi), secondo altri di un vero e proprio bilancio. E magari, in un futuro molto ma molto più lontano, agli Eurobond.

Il paradosso della dipendenza dal Bundestag è evidente: sarebbe interessante vedere la reazione dei parlamentari tedeschi a un allarme lanciato da Bruxelles sul loro bilancio. Certo, Berlino si sente molto al di sopra di tale eventualità, ma dato che è già accaduto nella prima metà dello scorso decennio, non è un scenario che può essere escluso a priori (allora la Germania aiutata da Francia e Italia riuscì a indebolire le regole di bilancio europee per venire sanzionata). Giusto due anni fa parlando al College of Europe a Bruges, la cancelliera Merkel attaccava la Commissione europea perché riteneva di essere a torto "il solo vero campione del metodo comunitario", un metodo che "non serva a trasferire competenze a livello europeo, piuttosto è un metodo per assicurare che le competenze che sono state trasferite sono esercitate in modo appropriato, se non c’è competenza comunitaria il metodo comunitario non può essere applicato". Sarebbe interessante sapere se la cancelliera pronuncerebbe ancora quelle parole. Tanto per dare un esempio del riflesso condizionato sulla sovranità nazionale: è durata lo spazio di un mattino l’idea di rendere obbligatoria l’audizione al parlamento europeo del ministro delle finanze di un paese sotto il tiro di Bruxelles, i governi l’hanno sonoramente bocciata. E’ passata la versione ‘soft’: lo scambio di opinioni avviene solo su base volontaria. Meglio il poco che il niente.

Quanto al paradosso della Commissione, fa strano che essendo sempre alla ricerca di un ruolo fondamentale nel processo europeo (come nella stragrande maggioranza dei casi è doveroso e legittimo), questa volta abbia fatto spallucce, evidentemente non convinta della trasparenza della mossa tedesca. Tre i motivi del ‘no grazie’: l’attuale commissario agli affari economici Olli Rehn è diventato vicepresidente dell’esecutivo Ue proprio per rimarcarne la rilevanze politico-formale nel collegio (ma con lui i vicepresidenti della Commissione sono 8 su 26 membri più il presidente, vale a dire che la carica è automaticamente svalutata); gli strumenti per rafforzare la vigilanza europea sui bilanci nazionali c’è già e manca poco per essere completata; l’attribuzione di poteri speciali a un singolo commissario richiederebbe una modifica del Trattato Ue (in termini legali a Bruxelles agisce un collegio di commissari non un singolo membro della Commissione) e in qualche paese anche modifiche costituzionali (chiaro riferimento alla Germania). A questi no si sono aggiunte le prese di distanze francesi, spagnole e italiane. Per Mario Monti costituirebbe un segnale sbagliato ai mercati, sarebbe come dire: quanto abbiano costruito finora non serve a nulla. Mario Draghi invece sarebbe entusiasta, ma è chiaro il motivo: la Bce sogna un’Europa in cui i governi europei siano in grado di prendere decisioni e di mantenerle. Più le decisioni sono concentrate meglio è.

Insomma, l’affondo tedesco è finito nella sabbia, almeno per ora. Resta da chiarire il punto interrogativo iniziale: sono sufficienti i poteri di supervisione e intrusione della Commissione europea nelle politiche di bilancio nazionali? Tenendo conto del quadro istituzionale europeo attuale, della regola ferrea ‘la Commissione propone il Consiglio dispone’, che l’Eurozona non ha un bilancio comune, non condivide emissioni di debito, ma si fonda sul coordinamento tra pari, la risposta è tutto sommato positiva. Nel cosiddetto ‘two pack’, le cui regole serviranno a stringere ulteriormente le corde della vigilanza di Bruxelles sulle capitali dei paesi dell’euro, si prevede che i progetti di finanziaria dell’anno successivo debbano essere trasmessi alla Commissione entro il 15 ottobre, cioè prima di renderli vincolanti. Non c’è una ipotesi di veto e neppure c’è il potere di Bruxelles di modificare la finanziaria, ma pur sempre esprime un parere e se sarà negativo costituirà il fondamento di una futura procedura. Difficile che con un parere negativo di Bruxelles un governo decida contro corrente. Tutto questo per il momento è auspicato perché il processo legislativo ancora non è concluso (si lavora per l’adozione entro fine anno). Se occorre stringere ancora di più la maglia delle regole si vedrà, ma sarebbe meglio farlo a tutto campo e non a singhiozzo a seconda delle agende politiche interne.