Prima l’ex ministro delle finanze e attualmente presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble, poi il cancelliere potenziale Armin Laschet hanno lanciato un messaggio politico preciso all’interno della Germania e automaticamente a diversi governi europei in una direzione precisa: a un certo punto occorrerà tornare alla “normalità” sulle politiche di bilancio perché prima o poi il forte indebitamento in alcuni Paesi può costituire un rischio eccessivo per l’intera area euro. Se a ciò si aggiunge la propensione del numero 1 della Bundesbank Jens Weidmann a stringere la corda monetaria rivedendo il programma di acquisto di titoli sovrani da parte della Bce, si completa il quadro di un umore che si sa consolidando in Germania. Naturalmente si tratta di messaggi che vanno contestualizzati: a settembre si voterà per le legislative e il risultato del voto è del tutto incerto, basti pensare alla possibilità che si verifichi una netta affermazione o la vittoria dei Verdi, che modificherebbe radicalmente il quadro politico tedesco. Tuttavia, indicano che la strada per la riscrittura – se davvero sarà tale – delle regole di bilancio è tutta in salita. Il rischio che si tratti di interventi minimi è reale.
Cominciamo dal successore potenziale di Angela Merkel alla Cancelleria. In un’intervista rilasciata al quotidiano francese Ouest-France e al gruppo editoriale tedesco Funke, Laschet ha indicato che le regole sugli aggiustamenti di bilancio sono state giustamente sospese a causa della pandemia (così come le regole sugli aiuti pubblici alle imprese di cui la Germania ha fortemente beneficiato – ndr): “È stata una buona soluzione”. È pattuito che resteranno in frigorifero per tutto il 2022 e che dal 2023 torneranno in vigore. «In futuro occorrerà tornare ai criteri di stabilità: le regole lasciano già molto spazio per poter effettuare gli investimenti che saranno utili” mentre “una politica del debito incontrollato sarebbe cattiva per la Germania e per l’Europa, indebolirebbe l’euro e non sarebbe alla fine sostenibile”. Dunque, ci sarebbe poco da cambiare.
Più articolato ma chiaramente nella stessa direzione il ragionamento di Schäuble sul Financial Times. “Durante il mio periodo come ministro delle finanze tedesco, avevo la reputazione di difensore della frugalità intesa come questione di principio. Ma allora, come oggi, il mio obiettivo era la sostenibilità: prendere a prestito in tempi di crisi per stabilizzare l’economia ha senso purché non si dimentichi la questione del rimborso. La necessità di ripagare il debito in un secondo momento viene spesso trascurata. Molti governi si concentrano sulla parte facile del keynesismo – l’indebitamento – e poi rinviano il rimborso dei loro debiti. Ciò porta ad una continua espansione del debito sovrano. Prima o poi, l’inflazione incombe. Keynes ha visto questo come una grave minaccia, indicandone il potenziale per ‘rovesciare le basi esistenti della società’”.
Nell’articolo pubblicato dal giornale britannico, Schäuble allarga lo sguardo alla politica monetaria e all’euro: “I valori delle valute sono sotto pressione in molte regioni del mondo, compresa la Ue Qui, più che altrove, la politica di bilancio finanziata dal debito è affiancata da misure monetarie. L’offerta monetaria nell’area dell’euro è stata massicciamente aumentata senza essere adeguatamente corrisposta da un aumento del volume di beni e servizi. Ciò alimenta le aspettative inflazionistiche delle imprese e delle famiglie. In questo modo l’Eurozona rischia una svalutazione della moneta che potrebbe assumere una dinamica praticamente inarrestabile». Inoltre, «una parte significativa dell’eccedenza monetaria creata dalla Bce viene evidentemente investita sui mercati dei capitali o immobiliari e alimenta bolle speculative”.
Di qui la conclusione: ”Dobbiamo tornare alla normalità monetaria e fiscale. L’onere del debito pubblico deve essere ridotto. Altrimenti, c’è il pericolo che la pandemia del Covid-19 sia seguita da una pandemia del debito con terribili conseguenze economiche per l’Europa. Con l’invecchiamento della popolazione, i Paesi Ue faranno fatica a eguagliare gli Stati Uniti e la Cina in termini di produttività e competitività se consentiranno che un debito eccessivo metta a repentaglio la loro flessibilità finanziaria. Pertanto, tutti i membri della zona euro devono impegnarsi per tornare a una disciplina di bilancio più rigorosa”. `DE una prospettiva che chiama in causa i governi: “L’esperienza mostra che i bilanci in pareggio nei Paesi con alti livelli di debito sono quasi irraggiungibili senza pressioni esterne. Lasciati a sé stessi, i membri di una confederazione di Stati rischiano di soccombere alla tentazione di contrarre debiti a spese della comunità. Ho discusso più volte di questo azzardo morale con Mario Draghi. Siamo sempre stati d’accordo che, data la struttura dell’Unione monetaria europea, la competitività e le politiche finanziarie sostenibili sono responsabilità degli Stati membri. Sono sicuro che (Draghi) intende sostenere questo principio come presidente del Consiglio italiano. È importante per l’Italia e per la Ue nel suo insieme. Altrimenti avremo bisogno di un’istituzione europea con poteri per far rispettare le regole concordate congiuntamente».
Il richiamo a Draghi non è certo un caso: in Germania si teme che il governo italiano sia ‘a tempo’ e non riesca a pilotare il Paese fino alla regolare scadenza legislativa. Si teme che lo slancio riformatore sia debole e/o non duri nel tempo. Ma si temono anche i disegni da grande riforma delle regole (di cui si parla in Italia come in Francia) in assenza di una stretta effettiva sulla “governance” economica collettiva all’insegna della “carota” e del “bastone”.
Sul Financial Times Schäuble parla dell’ipotesi di un “patto di riscatto” del debito dell’area euro ricordando che in qualità diprimo segretario al Tesoro Usa Hamilton obbligò i nuovi Stati americani nel 1792 a depositare buone garanzie, a praticare la disciplina di bilancio e a ridurre i loro debiti. Cosa diversa, dalla classica “mutualizzazione dei debiti a volte raccomandata per la Ue”.
Temi che per ora restano sullo sfondo: ora si tratta di realizzare la grande operazione anti crisi con 800 miliardi di obbligazioni comuni. Se funzionerà il discorso sarà ripreso. Quanto alla riforma delle regole di bilancio si parlerà in autunno. Le decisioni saranno prese l’anno prossimo dopo le legislative tedesche e probabilmente dopo il voto francese (le presidenziali sono in primavera). È una strada impervia, come ha ribadito ieri il commissario Gentiloni, ma da tentare perché occorre trarre tutte le lezioni dalla crisi attuale, ripete spesso l’ex premier italiano. Il suo collega Dombrovskis (che è pure vicepresidente) è d’accordo, tuttavia è sembrato più incline a non uscire troppo dall’attuale seminato: ha ricordato che “per quanto riguarda il 2023 gli attuali orientamenti forniscono una flessibilità sufficiente, all’interno delle regole, per poter trovare il giusto equilibrio tra finanziare la ripresa e assicurare la sostenibilità dei bilanci pubblici». Come dire che se i ritocchi al patto di stabilità dovessero essere minimi non sarebbe poi così grave.
In Italia, a livello governativo, prevale la cautela sulle ipotesi per il futuro, data la vulnerabilità del Paese dovuta all’alto debito pubblico in un contesto di incertezza sull’andamento dell’inflazione e dei tassi nell’area monetaria. E date le divisioni tra le forze politiche che sostengono l’esecutivo Draghi. Sul patto di stabilità l’obiettivo è garantire un ampio margine per favorire gli investimenti pubblici virtuosi (il debito buono) a sostegno della crescita economica. La prospettiva strategica è fare di Next Generation EU il modello di uno strumento comune permanente per la stabilizzazione delle economie, sostenuto da emissioni di debito comune. Assetto separato dal debito nazionale esistente. Ne ha parlato recentemente il governatore Visco che nelle Considerazioni Finali ha indicato: “Oggi la necessità di disporre di una capacità di bilancio comune è divenuta ancor più evidente. L’istituzione del programma Next Generation EU, che ne ha solo in parte le caratteristiche, testimonia la consapevolezza del fatto che choc comuni richiedono l’utilizzo di uno strumento europeo in grado di affiancare la politica monetaria unica».
Visco è andato un po’ più in là: “Una risposta congiunta può essere necessaria anche nel caso di choc asimmetrici, per rafforzare le politiche nazionali laddove i margini di manovra siano ridotti o per integrarle se l’azione dei singoli Paesi si mostra debole perché non considera le implicazioni che ne possono derivare per gli altri”. Si tratta di un’idea che rovescia lo schema della esclusiva responsabilità nazionale negli affari interni. In fondo è lo schema spezzato dell’operazione antipandemia: si aiuta un Paese, pretendendo e verificando costantemente che le risorse comuni siano bene utilizzate, a crescere perché in un’area monetaria crescere poco per troppo tempo danneggia l’intera area di appartenenza.
Visco aggiunge che il debito comune emesso per una politica di bilancio europea «sarebbe ben distinto dal debito pregresso dei singoli Paesi, che resterebbe responsabilità nazionale». Cionondimeno, «la gestione comune di una parte delle passività emesse in passato da ciascun Paese, ad esempio attraverso un fondo di ammortamento, consentirebbe anche di conferire rapidamente al mercato europeo dei titoli pubblici lo spessore e la liquidità di cui esso oggi manca. Proposte di questo genere sono state criticate per il timore che ne possano conseguire trasferimenti sistematici di risorse a favore dei Paesi con debito più alto, timori che possono essere fugati con la definizione esplicita di meccanismi volti a impedirli. Non si tratterebbe, in tutta evidenza, di cancellare le passività nazionali, ma di ridurre la frammentazione e la volatilità che oggi contraddistinguono nell’Unione europea il mercato dei debiti sovrani». In sostanza, una prospettiva di solidarietà da combinare con la responsabilità dei singoli Stati con l’equilibrio tra la “carota” e il “bastone” tutto da costruire.